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Lo and behold, l’umanità della rete secondo Werner Herzog

Lo and behold. (Magnolia Pictures)

Cos’è. Lo and behold è il nuovo documentario di Werner Herzog sulla rete, il suo impatto sulle nostre vite, il modo in cui ha cambiato il mondo. Attraverso dieci capitoli che partono da “The early days” e arrivano a “The future”, Herzog intervista le figure chiave della rivoluzione telematica, ma incontra anche lupi solitari, nemici della rete e della connessione, profeti e critici, tra scienza, impresa, vita quotidiana. La musica del film, costituita da campiture di suono che avvolgono senza rassicurare, è opera di Mark Degli Antoni (Soul Coughing), David Byrne, Lisa Germano e Colin Stevens.

Com’è. È un documentario di Herzog, e quindi ha il tocco a cui il regista ci ha abituati. Per prima cosa c’è l’attenzione per le persone che stanno dietro ai testimoni: Herzog cerca sempre nel tecnico, nell’ingegnere, nell’hacker (c’è anche Kevin Mitnick) o qualsiasi altra persona che interpella, elementi e peculiarità umane personali, che vanno orgogliosamente oltre il ruolo e l’opinione dell’esperto.

Herzog stesso è sempre presente, sia perché spesso interviene e pone delle domande sia perché quando intervista non sta mai con l’occhio dietro l’obiettivo. In questo modo lo sguardo delle persone è rivolto sempre fuori asse. I protagonisti delle storie e dei temi indagati da Herzog quindi non parlano con noi, con gli spettatori, nemmeno per finta. Questa lotta contro la neutralità oggettiva che cercano di incarnare tanti documentari, che è una forma di ipocrisia, rende il lavoro di Herzog sempre allo stesso tempo onesto e parziale.

La voce narrante è la sua, con accento tedesco e parole scandite con gravità. Le immagini hanno quella natura sempre imperfetta e inconfondibile: quando serve che l’inquadratura sia, come si dice a volte, “un quadro” per composizione e pulizia, lo è; quando si cerca immediatezza e intimità, se la telecamera è a mano e le inquadrature non sono ferme, è l’ultimo dei problemi. Il tono generale del film non è razionalmente entusiasta come quello di tanti evangelisti della rete. Werner Herzog è piuttosto inebriato e insieme atterrito dalla rivoluzione che stiamo vivendo, e cavalca questa perdita di equilibrio con una certa incoscienza.


Perché vederlo. Negli ultimi anni siamo stati sommersi da un fervore per la tecnologia contemporanea e le sue diramazioni che spesso non conosce una vera profondità e ha il difetto cronico di non essere mai nell’oggi, ma sempre proiettato verso le possibilità eventuali delle generazioni future. Herzog ha la capacità di scegliere storie e sguardi di persone che oggi, adesso, in questo momento raccontano come la tecnologia ha condizionato la nostra e la loro vita. Non sono storie di successo e ingegno raccontate con entusiasmo agonistico, ma storie di donne e uomini osservati con la curiosità di un entomologo segretamente innamorato delle sue blatte. Il risultato è a tratti fantascientifico – “internet sogna?” – ma fa riflettere bene al di qua della fantascienza.

Perché non vederlo. Herzog non fa documentari riposanti né divertenti. Quindi gli spettatori che tendono ad annoiarsi se ci sono troppe parole o poca azione sono a rischio. Ma l’avvertenza più importante è quella nei confronti del tipo di film che è Lo and behold. Questo non è un documentario sulla rete e sulla cultura tecnologica contemporanea, ma lo sguardo personale di un artista su questi temi, con tutta la parzialità e la soggettività del caso. A volte è evidente che rispetto al tema l’autore prende delle sbandate a favore di sguardi, suggestioni e persone che sono più rilevanti per lui che per il resto del mondo. Quindi se si vuole avere una visione complessiva d’insieme su questo argomento, questo non è il film giusto.

Una battuta. “Io ci verrei. Non avrei problemi. Mi candido”, detto da Herzog a Elon Musk che parla della colonizzazione di Marte.

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