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Cosa c’è dietro la decisione di Erdoğan su Santa Sofia

Santa Sofia, Istanbul, 10 luglio 2020. (Murad Sezer, Reuters/Contrasto)

Nel pomeriggio del 10 luglio, pochi minuti dopo l’annuncio del decimo dipartimento del consiglio di stato, il presidente della repubblica Recep Tayyip Erdoğan ha pubblicato il decreto secondo cui il museo di Aya Sofya, o Santa Sofia, a partire dal 24 luglio riaprirà alle funzioni religiose come moschea. Si tratta di una decisione storica. Dopo che nel 1453 il sultano Mehmet il conquistatore aveva convertito l’antica basilica in moschea, nel 1935 il presidente Mustafa Kemal Atatürk l’aveva trasformata in museo.

Erdoğan si è rivolto alla popolazione sottolineando tre punti. Primo, con questo passo ha raggiunto un obiettivo politico che fin dagli anni trenta era una priorità non solo dei partiti islamici, ma anche di quelli conservatori e nazionalisti. Secondo, questa decisione è un monito al mondo esterno sulla supremazia della Turchia. Terzo, la promessa di mantenere lo status di patrimonio dell’umanità di Santa Sofia. E con questo l’impegno a conservare i mosaici della madonna, di Gesù e degli angeli che si trovano all’interno di Santa Sofia. L’Unesco ha avvertito che Santa Sofia rischia di essere tolta dalla lista del patrimonio mondiale. E questo in realtà può considerarsi anche un avvertimento a non danneggiare le opere nell’entusiasmo della vittoria.

Le frasi che meglio riassumono la situazione sono quelle pronunciate dal presidente del parlamento Mustafa Şentop: “Negli ideali della nostra generazione e in quelli di molte generazioni prima di noi, riconvertire Santa Sofia era un obiettivo, un sogno. ‘Spezziamo le catene, apriamo Santa Sofia’ era uno degli slogan più diffusi nella nostra gioventù”.

Perché adesso?
Eppure appena un anno fa, prima delle elezioni amministrative, per zittire lo slogan “apriamo Santa Sofia” Erdoğan si era rivolto alla popolazione dicendo: “Non cedete alle provocazioni, prima riempite la moschea di Sultanahmet, che è lì di fronte”. Qualche giorno dopo, il 18 marzo 2019, il presidente era stato ancora più esplicito in un intervento televisivo:

Prevalere non è un problema per noi. Ma cosa ne ricaviamo? Per noi il prezzo è molto più alto. Non dimentichiamo che in questo momento abbiamo centinaia di moschee in molti paesi del mondo. Quelli che dicono questo, ci pensano forse a cosa può succedere a quelle moschee? Non me ne vogliano, ma questi non conoscono il mondo. Non sanno con chi hanno a che fare. Perciò io in quanto leader politico non ho perso la strada al punto da cadere in questo tranello. Dobbiamo essere sensibili, attenti, non cedere a questo gioco.

Cosa è successo in questo breve tempo per convincere il presidente a compiere un passo che ha scatenato reazioni in tutto il mondo? Cos’è cambiato perché cedesse al gioco? Possiamo individuare tre grandi cambiamenti:

  • Il Partito giustizia e sviluppo (Akp) di Erdoğan, nonostante il sostegno del Movimento nazionalista (Mhp), ha subìto una sonora sconfitta alle amministrative del 31 marzo e soprattutto alla ripetizione delle comunali di Istanbul il 23 giugno. Istanbul e Ankara sono passate dall’Akp al Partito repubblicano del popolo (Chp). Dopo anni, l’opposizione è riuscita per la prima volta a raggiungere le masse. E l’Akp ha perso tutti i vantaggi di amministrare le due città più importanti del paese.
  • L’epidemia di coronavirus ha peggiorato la già fragile situazione economica. La recessione in settori come il turismo e i trasporti ha ridotto le entrate di valuta estera. Secondo un sondaggio nemmeno i politici dell’Akp credono ai dati sull’inflazione e sulla disoccupazione diffusi dall’Istituto nazionale di statistica turco.
  • Due partiti fondati da ex esponenti dall’Akp si sono aggiunti allo scacchiere politico, influenzando l’elettorato del partito nazionalista Mhp e aggiungendosi al Buon partito (Iyi): il Partito futuro (Gelecek partisi) dell’ex ministro degli esteri e premier Ahmet Davutoğlu e il partito Deva di Ali Babacan, ex ministro dell’economia dell’Akp.

Questi tre sviluppi hanno intaccato il sostegno ai partiti di governo Akp e Mhp. La mossa di Santa Sofia è un appello all’elettorato per restare. Intanto, mentre ci si attendeva una reazione negativa dal Chp, la dichiarazione del leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu può aver disatteso le aspettative: “Aprite pure la moschea, d’altra parte lì si prega già”.

Reazioni dal mondo
Ankara non prende molto sul serio le reazioni giunte da Atene. La Grecia può nuocere alla Turchia solo attraverso l’Unione europea, ma i rapporti tra Turchia e Bruxelles sono già ai minimi termini. L’Unione non può rompere le relazioni con la Turchia perché negli ultimi dieci anni i rapporti Ankara-Bruxelles si reggono sulla formula “Non sarò io a dirti di no”.

La reazione giunta dagli Stati Uniti è seria. Perché in periodo elettorale Donald Trump è stato costretto ad ascoltare le lobby ostili alla Turchia, molto influenti al congresso (compresa la lobby greca). Ma le relazioni tra Turchia e Stati Uniti in questo momento sono così difficili che una sanzione in più o in meno non fa molta differenza. Perciò è considerato un rischio che vale la pena correre. Certe voci ad Ankara parlano di un passo possibile per placare il congresso in vista delle elezioni.

Il problema più grave è la reazione della Russia. Ankara e Mosca hanno una collaborazione problematica in Siria e sono avversarie in Libia, mentre l’economia turca ha bisogno dei turisti russi. Erdoğan, che è in costante contatto con Vladimir Putin, sembra aver deciso di correre questo rischio.

E dopo?
In un quadro simile si può dire che qualunque passo futuro compiuto da Erdoğan avrà l’obiettivo di rovesciare la flessione elettorale subita dall’Akp prima e dall’Mhp poi. Stando così le cose, la mossa di Santa Sofia può essere considerata un successo. Ma vanno considerati due elementi.

La promessa di aprire Santa Sofia al culto islamico è stata un mezzo di propaganda importante di ogni partito di destra in Turchia a ogni elezione. Ormai Santa Sofia non è più una promessa ma una realtà. E questo solo Erdoğan e il suo partito possono rivendicarlo. L’Mhp può trarne beneficio solo in quanto alleato di governo.

C’è da chiedersi quanto potrà durare l’effetto di questa mossa e quanto di questo entusiasmo si trasformerà in voti. Non è affatto sicuro che senza una seria ripresa dell’economia tale effetto possa durare fino alle elezioni che Erdoğan dà per certe nel 2023.

Da questo punto di vista, si può dire che è il momento ideale perché l’Mhp chieda elezioni anticipate, prima che i danni economici causati dal coronavirus vengano pienamente alla luce e che l’effetto di Santa Sofia svanisca. Per come la vedo io, con l’economia in queste condizioni non sarebbe ragionevole andare alle elezioni, ma d’altra parte di questi tempi ci sono molte cose che ragionevoli non sono.

Per quanto riguarda il piano internazionale, si dice che Erdoğan potrebbe cercare di placare le reazioni negative permettendo la riapertura della scuola di teologia ortodossa di Halki, sull’isola di Heybeliada. Per ora è solo una voce, ma vale la pena stare a guardare.

(Traduzione di Giulia Ansaldo)

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