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Mariupol, l’Ucraina e il crimine dei bombardamenti sugli ospedali

Mariupol, 9 marzo 2022. Una paziente dell’ospedale ostetrico bombardato dall’esercito russo. (Mstyslav Chernov, Ap/LaPresse)

Mentre in tutto il mondo la gente era incollata agli schermi nel tentativo di dare un senso all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, un bombardamento aereo russo devastava un ospedale ostetrico nella città portuale sotto assedio di Mariupol. Secondo quanto riferito dai mezzi d’informazione il complesso è stato colpito da una serie di esplosioni che hanno mandato in frantumi le finestre e hanno sventrato la facciata di un edificio. I video girati sul luogo mostrano poliziotti e soldati ucraini che si precipitano per mettere in salvo le vittime, tra cui una donna in avanzato stato di gravidanza che viene trasportata su una barella tra auto in fiamme e alberi bruciati. Qualche giorno dopo l’Associated Press ha riferito che sia la donna sia il bambino che aspettava sono morti in conseguenza dell’attacco.

L’attacco all’ospedale di Mariupol è stato solo uno dei 43 attacchi russi contro le unità sanitarie ucraine durante le prime tre settimane di combattimento. Nel tentativo di giustificare tali bombardamenti, la Russia ha accusato le forze armate ucraine di utilizzare strutture civili e sanitarie come scudi per le attività militari. Subito dopo l’attacco al reparto maternità di Mariupol l’ambasciata russa in Israele ha diffuso un video che apparentemente mostrava un battaglione ucraino operativo in prossimità dell’ospedale. L’immagine mirava ad avvalorare l’accusa secondo cui le forze ucraine utilizzerebbero illegalmente come scudi strutture civili protette dalle leggi di guerra. Non ci è voluto molto, tuttavia, perché il gruppo di giornalisti investigativi Bellingcat verificasse che l’immagine utilizzata dall’ambasciata russa a Tel Aviv era in realtà di un edificio situato a dieci chilometri dall’ospedale di Mariupol e che la linea difensiva russa si basava su una montatura.

Bombardare gli ospedali non è una novità nel copione russo. Secondo Medici per i diritti umani le forze russe sono state coinvolte in 244 attacchi contro le strutture sanitarie in Siria, dove la distruzione delle istituzioni sanitarie del nemico è diventata un obiettivo strategico del regime di Bashar al Assad fin dall’inizio della guerra. Nelle aree controllate dai ribelli in Siria, il settore sanitario è stato rapidamente spinto a nascondersi nel sottosuolo. Tuttavia, anche quando i ribelli hanno costruito ospedali nelle grotte, compresi pronto soccorso, reparti ambulatoriali e di maternità, il governo siriano, che dal 2015 aveva l’assistenza dall’aviazione russa, ha continuato a dare la caccia agli operatori sanitari.

A un certo punto, le unità mediche che ricevevano assistenza da Medici senza frontiere hanno dovuto chiedere all’organizzazione umanitaria di smettere di condividere le coordinate gps delle loro strutture con il governo siriano, una pratica comunemente utilizzata durante la guerra per salvaguardare le unità mediche dagli attacchi. Medici senza frontiere ha poi capito che anziché garantire protezione a quegli ospedali e al personale, in alcuni casi le coordinate permettevano al governo e al suo alleato russo di farne dei bersagli. Poiché il regime siriano non ha rispetto della distinzione tra personale militare e operatori sanitari, gli attacchi contro gli ospedali e il personale medico sono diventati un elemento cardine nella campagna militare per sconfiggere i suoi nemici.

Gli attacchi contro le strutture sanitarie in Siria erano compiuti prevalentemente dal cielo, e quando l’aviazione russa veniva accusata di violare le protezioni garantite dalla legge di guerra nei confronti dei civili e delle unità sanitarie, i funzionari o negavano le accuse affermando che non c’era stato alcun attacco (fake news), oppure, come ora a Mariupol, incolpavano i ribelli dell’attacco e della conseguente distruzione, sostenendo che i responsabili fossero loro perché avevano usato la struttura sanitaria come scudo per difendere un obiettivo militare legittimo, cioè combattenti nascosti in uno dei reparti dell’ospedale. La replica russa potrebbe sembrare offensiva per alcuni, ma in realtà si rifà a una linea difensiva adottata da tutta una serie di eserciti fin dall’inizio della guerra aerea.

Origini coloniali
I bombardamenti sugli ospedali si sono affermati come tecnica di guerra fin dall’inizio del secolo scorso. Non molto tempo dopo che Louis Blériot divenne la prima persona ad attraversare il canale della Manica in volo, nel 1909, gli eserciti europei si resero conto dell’importanza degli aerei per la guerra. Gli italiani si precipitarono ad acquisire uno squadrone di aerei modello Caproni e due anni dopo il volo di Blériot introdussero i bombardamenti aerei nei conflitti armati durante la repressione di una rivolta popolare in Libia, la loro colonia nordafricana.

I piloti italiani, che all’epoca non potevano volare a più di 100 chilometri orari, aprirono le loro carlinghe sulla Libia sganciando bombe da cinque chili sia sui manifestanti sia sulle unità sanitarie. La Mezzaluna rossa ottomana, branca locale della Croce rossa, reagì inviando un telegramma al Comitato internazionale a Ginevra, chiedendo di “protestare con sdegno contro il bombardamento da parte degli aerei italiani contro gli ospedali contrassegnati con la bandiera della Mezzaluna rossa in Tripolitania”. Mentre la nuova forza aerea continuava a bombardare le strutture sanitarie nella colonia, Ginevra trasmetteva la denuncia al governo italiano, chiedendo una risposta.

Nella sua replica il governo italiano contestava i fatti, ma chiedeva anche che i contrassegni protettivi “fossero chiaramente visibili sulle tende, i distaccamenti, i convogli eccetera, in modo da renderli riconoscibili anche da lontano e dal cielo”. Inoltre aggiungeva che durante i combattimenti il personale medico doveva tenersi a debita distanza dalle forze impegnate nello scontro e che agli ospedali e al personale medico dovevano essere assegnate delle aree separate e chiaramente visibili negli accampamenti militari. Il governo italiano dichiarò che non era disposto ad assumersi responsabilità se tali precauzioni non fossero state osservate in ogni circostanza, poiché “non potrebbe rinunciare alla propria capacità di usare tutti i metodi di attacco autorizzati dal diritto internazionale, così come non si può consentire che la presenza di unità [mediche] funga da salvaguardia per il nemico contro la sua azione”. Così, fin dai primi casi di bombardamenti aerei sulle unità mediche, per giustificare gli attacchi si introduceva l’accusa che queste unità fossero schierate per schermare obiettivi militari legittimi. La necessità militare prevaleva sulla protezione delle strutture sanitarie, degli operatori umanitari e dei pazienti.

Prossimità
Le regole del gioco furono dunque stabilite in Libia. Ma fu solo alcuni anni più tardi, nella prima guerra mondiale, che per la prima volta gli aeroplani vennero sistematicamente impiegati come strumenti di violenza. Il Comitato internazionale della Croce rossa raccolse ottanta denunce relative al bombardamento di ospedali e strutture sanitarie da parte dell’artiglieria o degli aerei. Un caso che ricevette una notevole attenzione mediatica fu il bombardamento tedesco di diversi reparti ospedalieri a Étaples, sulla costa settentrionale della Francia, nel maggio del 1918. I reparti furono colpiti ripetutamente, causando la morte di 182 tra pazienti e infermieri e 643 feriti. In uno dei raid un pilota tedesco venne abbattuto e, mentre veniva curato nell’ospedale danneggiato che aveva bombardato, fu interrogato in merito all’attacco.

“All’inizio ha cercato di scusarsi dicendo di non aver visto alcuna croce rossa”, riferì un giornale, aggiungendo che “quando gli è stato contestato il fatto che lui sapeva che stava attaccando degli ospedali, lui ha tentato di suggerire che gli ospedali non dovrebbero essere posizionati vicino alle linee ferroviarie, dicendo che se lo sono ne devono subire le conseguenze”. L’affermazione del pilota era semplice: in guerra, coloro che aiutano a sostenere la vita non possono aspettarsi di essere protetti se si trovano in prossimità di obiettivi militari.

Nel maggio del 1939, mentre la Gran Bretagna si preparava a un’altra guerra mondiale, l’attacco alle strutture sanitarie di Étaples e l’affermazione del pilota tedesco sul motivo per cui gli ospedali erano bombardati furono sollevati alla camera dei lord a Londra e ribaditi da un soldato ben più importante. Hugh Trenchard – che aveva servito come ufficiale di fanteria nella seconda guerra anglo-boera e in seguito aveva contribuito a fondare la Royal Air Force, che guidò dal 1918 al 1930 – di fatto appoggiò la spiegazione fornita dal pilota. Ai suoi colleghi parlamentari Trenchard disse di essere consapevole dell‘“idea comune” che “qualunque ospedale battente la bandiera della Croce rossa sia volutamente bombardato”. “Si è sentito dire lo stesso del bombardamento sugli ospedali e sugli accampamenti a Étaples durante la guerra”, continuava, “e a quanto pare nessuno ha pensato che i veri obiettivi fossero la ferrovia e i depositi”.

Mariupol, 9 marzo 2022. All’interno dell’ospedale ostetrico dopo l’attacco.

Trenchard citò ai suoi colleghi la Storia della grande guerra basata sui documenti ufficiali (una cronaca delle imprese militari britanniche nella prima guerra mondiale) e sottolineò quanto affermato dal direttore delle operazioni militari presso il ministero della guerra: “Non abbiamo alcun diritto di avere ospedali mescolati con gli accampamenti dei rinforzi e vicini alle principali ferrovie e a importanti obiettivi dei bombardamenti. Finché non rimuoveremo gli ospedali dalle vicinanze di questi obiettivi e li posizioneremo in un’area in cui non vi sono obiettivi significativi, non credo che potremo ragionevolmente accusare i tedeschi”. In altre parole, il ministero della guerra britannico concordava con il governo italiano e con il pilota tedesco sul fatto che la prossimità di un ospedale a un obiettivo militare legittimo lo rende esposto agli attacchi, lasciando al tempo stesso intendere che la colpa ricade su coloro che collocano l’ospedale in una posizione simile, non su coloro che lo bombardano.

Norma consolidata
Nella seconda guerra mondiale l’intensità dei bombardamenti aerei aumentò drammaticamente e intere città furono sistematicamente bombardate fino a essere completamente rase al suolo. Appena trentaquattro anni dopo che i primi esplosivi erano stati lanciati manualmente da una cabina di pilotaggio sui manifestanti libici, gli Stati Uniti sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, rendendo irrilevante la questione degli attacchi mirati sugli ospedali. In quella che alcuni hanno definito “guerra totale”, la vita dei civili diventa sacrificabile e bombardare le unità sanitarie è parte del gioco.

Gli orrori della seconda guerra mondiale portarono il Comitato internazionale della Croce rossa a redigere una nuova convenzione relativa alla protezione dei civili e delle infrastrutture civili che includeva delle disposizioni legali finalizzate alla protezione degli ospedali. Furono adottate diverse norme che obbligavano le parti in conflitto ad astenersi dall’attaccare strutture sanitarie recanti il simbolo della Croce rossa. Gli ospedali civili “non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno di attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle parti belligeranti”, recita l’articolo 18 della Quarta convenzione di Ginevra. L’articolo successivo, il 19, vieta quindi di proteggere le attività militari dietro i simboli della Croce rossa, osservando che “la protezione dovuta agli ospedali civili potrà cessare soltanto qualora ne fosse fatto uso per commettere, all’infuori dei doveri umanitari, atti dannosi al nemico”. L’articolo proibisce inoltre di collocare strutture sanitarie in prossimità di obiettivi militari. Vi si legge: “In considerazione dei pericoli che la prossimità di obiettivi militari può costituire per gli ospedali, si dovrà vigilare affinché tali obiettivi ne siano possibilmente lontani”. Il diritto internazionale combinava dunque la protezione degli ospedali con il divieto di utilizzarli come scudi.

La fragile natura di queste disposizioni si è resa evidente nel corso dei conflitti che hanno avuto luogo nel sudest asiatico immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Nella Corea del Nord, durante la guerra di Corea nei primi anni cinquanta, le forze statunitensi e dell’Onu hanno distrutto decine di strutture sanitarie, costringendo i coreani a spostare i propri ospedali sottoterra. In Vietnam l’aviazione francese è stata accusata di aver bombardato con il napalm strutture sanitarie e convogli di evacuazione durante la sconfitta del Viet Minh a Dien Bien Phu nel 1954, denunce alle quali il governo francese ha risposto accusando la resistenza vietnamita di violare le leggi di guerra e di “trasportare munizioni in aerei medici contrassegnati con il simbolo della Croce rossa”.

Quindici anni dopo, gli Stati Uniti sono stati accusati di aver deliberatamente bombardato gli ospedali vietnamiti contrassegnati con il simbolo della Croce rossa. Dopo il tristemente famoso bombardamento dell’ospedale di Bach Mai (con 940 posti letto) l’esercito statunitense ha sostenuto che i combattenti vietnamiti si erano protetti dietro il simbolo della Croce rossa, spiegando che l’ospedale “ospitava frequentemente posizioni antiaeree per difendere il complesso militare”, aggiungendo che questo si trovava a meno di 500 metri dalla pista di atterraggio e dal deposito militare di Bach Mai. L’uso degli ospedali per coprire obiettivi militari legittimi e la loro prossimità a tali obiettivi erano dunque entrambi invocati come giustificazioni per l’attacco.

A causa di questi e di altri attacchi agli ospedali, le unità sanitarie hanno nuovamente ricevuto un’attenzione significativa a metà degli anni settanta, portando alla formulazione dei protocolli aggiuntivi del 1977 alle convenzioni di Ginevra. I delegati internazionali hanno ancora una volta indicato le due condizioni alle quali le protezioni offerte agli ospedali possono decadere: “Le parti belligeranti vigileranno che le formazioni sanitarie siano situate il più lontano possibile [dagli obiettivi militari] in modo che eventuali attacchi contro obiettivi militari non possano mettere in pericolo la loro sicurezza. In nessuna circostanza, le unità sanitarie saranno utilizzate per cercare di proteggere gli obiettivi militari da attacchi”. Nella versione finale del primo protocollo aggiuntivo queste condizioni sono state formulate come una forma di riparo e sono state incorporate nell’articolo 12 che afferma che “in nessuna circostanza, le unità sanitarie saranno utilizzate per cercare di mettere obiettivi militari al riparo da attacchi. Ogni volta che sia possibile, le parti in conflitto cureranno che le unità sanitarie siano situate in modo tale che gli attacchi contro obiettivi militari non le mettano in pericolo”.

Nella formulazione dell’articolo possiamo osservare che la prossimità e il ripararsi dietro gli ospedali hanno una storia parallela nel diritto internazionale. L’accusa che un’unità sanitaria si trovi in prossimità di un obiettivo militare implica che stia fornendo riparo all’obiettivo e può quindi perdere la sua protezione ai sensi della legge. È come se le argomentazioni del governo italiano espresse dopo il bombardamento delle strutture sanitarie in Libia ed Etiopia fossero diventate norme internazionali.

Nel terrore
L’affermazione secondo cui gli ospedali sarebbero utilizzati come scudi è diventata pervasiva con la successiva “guerra al terrorismo” e i suoi attacchi sistematici contro civili prevalentemente dalla pelle scura. Dalla guerra in Afghanistan all’intervento saudita con il sostegno degli Stati Uniti in Yemen fino alle campagne israeliane a Gaza e alla guerra civile siriana, negli ultimi anni gli ospedali sono stati costantemente bombardati dalle forze militari con il pretesto dell’antiterrorismo, e la tesi degli scudi è stata invocata continuamente. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità nel 2020 in media è stata attaccata un’unità sanitaria ogni giorno, e nel 2021 il dato medio giornaliero è raddoppiato. È chiaro che i bombardamenti sugli ospedali non sono sporadici o una serie di eventi isolati, ma costituiscono una strategia di guerra volta a indebolire le infrastrutture di base del nemico. E se effettivamente alcuni ospedali potrebbero essere stati usati come scudi, il numero stesso dei bombardamenti fa pensare che i belligeranti utilizzino l’accusa degli scudi a posteriori al fine di legittimare gli attacchi.

In Siria sono stati soprattutto il regime di Assad e l’alleata Russia a bombardare gli ospedali nei territori in mano ai ribelli, mentre in Yemen e a Gaza sono stati gli aerei di Arabia Saudita e Israele a distruggere le strutture sanitarie controllate da entità non statali. Le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani locali e internazionali da sempre condannano questi attacchi, sostenendo che si tratti di una flagrante violazione del diritto internazionale.

Durante la guerra di Gaza del 2014, gli attacchi israeliani hanno distrutto o danneggiato diciassette ospedali, cinquantasei strutture sanitarie di base e quarantacinque ambulanze. Similmente, i funzionari sauditi hanno cercato di giustificare l’elevato numero di attacchi aerei contro strutture sanitarie in Yemen adottando le stesse frasi fatte, accusando gli avversari, le milizie huthi, di utilizzare gli ospedali per nascondere le proprie forze militari. Dopo il bombardamento di una struttura sanitaria sotterranea in una zona controllata dai ribelli, un funzionario del regime siriano ha dichiarato che i combattenti sarebbero stati presi di mira ovunque si trovassero, “a terra e nel sottosuolo”, mentre il suo sponsor russo ha spiegato che i ribelli usavano “i cosiddetti ospedali come scudi umani”.

In una conferenza stampa del settembre 2019 convocata per parlare delle “numerose accuse di bombardamenti su strutture sanitarie e altre strutture civili a Idlib”, il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Vassilij Nebenzia, ha spiegato che i ribelli usavano regolarmente unità sanitarie per commettere azioni dannose per il nemico. Il diplomatico russo ha quindi presentato situazioni eccezionali (che secondo il diritto internazionale fanno perdere alle unità sanitarie le loro protezioni) come la regola, aggiungendo che “la deliberata manipolazione delle informazioni è diventata una delle armi più importanti di questa guerra”. I russi immaginavano che l’opposizione avrebbe sempre negato di utilizzare unità sanitarie per portare avanti le proprie iniziative belliche, e quindi si è passati dal dibattito sugli ospedali bombardati a discutere se quei bombardamenti fossero o meno legittimi date le eccezioni legali.

Questo genere di spiegazioni può rappresentare una robusta difesa perché il personale sanitario di fatto perde le protezioni assegnategli dal diritto internazionale se “eccede dai limiti della propria missione” o se compie “atti dannosi per il nemico”. Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa, “tali atti dannosi includerebbero, per esempio, l’uso di un ospedale come rifugio per combattenti o fuggitivi fisicamente in salute, come deposito di armi o munizioni o come postazione di osservazione militare; un altro caso sarebbe l’ubicazione deliberata di un’unità sanitaria in una posizione in cui questa impedirebbe un attacco nemico”.

Nel tentativo di legittimare il bombardamento delle strutture sanitarie palestinesi a seguito della guerra di Gaza del 2014 in un rapporto legale Israele ha invocato entrambe le eccezioni. Il rapporto accusava “Hamas e altre organizzazioni terroristiche” di servirsi di “ospedali e ambulanze per condurre operazioni militari, nonostante la protezione speciale accordata a queste unità e mezzi di trasporto in base al diritto internazionale consuetudinario”. Ancora, il rapporto affermava che gli ospedali erano usati come “centri di comando e controllo, siti per il lancio dei missili o per sparare, e come copertura per tunnel militari” e anche come scudi nelle immediate vicinanze per combattenti di Hamas che sparavano “numerosi razzi e mortai nel raggio di 25 metri da ospedali e ambulatori”. A volte Israele chiamava l’ospedale in anticipo, avvertendo il personale che stava per bombardare la struttura. Così il governo israeliano ha potuto affermare di aver fornito il dovuto avvertimento e un tempo ragionevole per evacuare gli edifici prima di lanciare un attacco, e di non avere perciò violato quegli articoli del diritto umanitario internazionale che impongono ai belligeranti di avvertire le unità sanitarie prima di bombardarle.

A seguito delle proteste di Medici senza frontiere contro il bombardamento di una delle sue unità sanitarie in Yemen, il Joint incidents assessment team della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita ha diffuso una replica simile: “L’individuazione del bersaglio si è basata su solide informazioni di intelligence. […] A seguito di verifiche è risultato chiaro che l’edificio era una struttura sanitaria utilizzata dalla milizia armata huthi come rifugio militare in violazione delle norme del diritto umanitario internazionale”. Secondo la relazione autoassolutoria, una delle strutture sanitarie colpite dalla coalizione “non è stata bombardata direttamente, ma è stata accidentalmente danneggiata dal bombardamento a causa della sua posizione vicina al gruppo oggetto dell’attacco, senza causare alcuna perdita umana. È necessario tenere la clinica mobile lontana da obiettivi militari in modo da non subire effetti collaterali”. Anche se erano stati bombardati degli ospedali, il team di valutazione ha concluso che le forze della coalizione non avevano violato la legge.

La linea del colore
Mentre la condanna legale di coloro che usano gli ospedali come scudi è incondizionata e tale atto è sempre considerato un crimine di guerra, la protezione offerta agli ospedali è invece subordinata a delle condizioni. Per giustificare legalmente un attacco una parte in guerra non deve far altro che affermare che una data unità sanitaria si trovava vicino a un bersaglio o è stata utilizzata per nasconderlo, dichiarare di aver avvertito il personale sanitario prima dell’attacco e sostenere che l’attacco ha rispettato il principio di proporzionalità. La storia dei bombardamenti sugli ospedali, i dibattiti giuridici che li circondano e la formulazione di disposizioni giuridiche relative alla protezione delle strutture mediche mostrano che il diritto internazionale privilegia coloro che attaccano rispetto a coloro che fanno da scudo e che questo può fungere da strumento per umanizzare l’uso della forza letale contro quelle unità sanitarie che la legge stessa ha la pretesa di proteggere.

Dall’avvento dei bombardamenti aerei, praticamente ogni volta che le parti belligeranti hanno ammesso di aver bombardato un ospedale (e non è stato un errore), hanno invocato una delle eccezioni legali per giustificare l’atto. Questa storia indubbiamente mette in discussione la concezione secondo cui i processi giuridici possono sostituire la violenza come strumento di risoluzione dei conflitti. Questa narrazione, che ci guida dalla violenza al diritto, non tiene in considerazione la violenza della legge stessa. Di fatto, le leggi della guerra non vietano la violenza, ma ne regolano l’utilizzo, fornendo delle linee guida concrete su chi può essere ucciso, cosa può essere distrutto e sui repertori di violenza che possono legittimamente essere impiegati. La legge fa delle nobili enunciazioni riguardo all’importanza di proteggere gli ospedali, ma come dimostra la storia dei bombardamenti sugli ospedali essa permette e a volte persino facilita la violenza, fornendo numerose eccezioni che consentono agli stati di colpire le unità sanitarie. Di conseguenza, invocare il diritto per cercare un rimedio alla violenza non è necessariamente la strategia migliore.

Questa storia solleva dunque seri interrogativi sulla prospettiva legalista di molte organizzazioni umanitarie e per i diritti umani, che lo storico del diritto Samuel Moyn ha delineato descrivendo il loro passaggio da una politica pacifista durante la guerra del Vietnam a una crescente insistenza sul diritto internazionale. Riferendosi all’attacco contro le strutture sanitarie in Ucraina, un ricercatore di Medici per i diritti umani ha esclamato: “I brutali precedenti della Russia nel consolidare il potere attraverso l’azione militare sono un chiaro avvertimento: questi orribili attacchi contro i civili e le infrastrutture sanitarie essenziali sono una sfrontata e inequivocabile violazione del diritto internazionale umanitario. I responsabili devono essere fermati e devono essere chiamati a rispondere dei loro crimini”. E in effetti l’accertamento delle responsabilità per la violazione del diritto internazionale umanitario è stato la parola d’ordine per quelle ong che chiedono giustizia a Gaza, in Yemen, Siria e oggi in Ucraina.

Ma finché le eccezioni legali che legittimano gli attacchi contro le unità sanitarie sono parte integrante della legge, la legge può finire per giustificare il bombardamento degli ospedali. Questo fa ritenere che soltanto un divieto assoluto di colpire le unità sanitarie, senza alcuna eccezione, ha qualche speranza di ridurre la violenza. Una volta introdotto il divieto, le unità mediche non possono essere legalmente bombardate, nemmeno quando si trovano vicino a un obiettivo militare o quando fanno da riparo a dei combattenti.

Il Medio Oriente post 11 settembre è stato il principale laboratorio contemporaneo in cui l’argomentazione degli “ospedali scudo” è stata impiegata per giustificare il bombardamento degli ospedali. Nel nostro libro sulla storia globale degli scudi umani noi dimostriamo che le democrazie liberali occidentali sono state complici della distruzione delle unità sanitarie e dell’uccisione di civili dalla pelle scura.

Ma oggi, con l’attacco all’Ucraina e l’uccisione di “persone europee con occhi azzurri e capelli biondi”, sta emergendo una sensibilità basata sulle razza nei confronti delle vittime civili, diversa da quella a cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni. I commentatori occidentali sembrano molto meno inclini ad accettare le stesse argomentazioni legali usate per giustificare la distruzione di luoghi civili in Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen o Palestina.

La rapidità con cui la Corte penale internazionale ha deciso di aprire un’inchiesta su possibili crimini di guerra commessi in Ucraina è un segnale di questa tendenza, difficile da spiegare senza tener conto della “linea del colore”, per dirla con W.E.B. Du Bois. In effetti, la risposta occidentale all’aggressione russa contro l’Ucraina rivela ulteriormente come il nostro senso di umanità sia strettamente legato alla razza e non abbia mai superato la sua impronta coloniale. Ma adesso che il tema degli ospedali usati come scudo è “tornato” in Europa dopo molti decenni, la gente potrebbe essere più critica nei confronti delle scusanti difensive espresse dalle parti in conflitto per tentare di legittimare la violenza utilizzata contro le popolazioni civili.

È giunto il momento di sostenere, senza distinzioni di colore, il divieto assoluto di bombardare gli ospedali.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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