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Quando sono tornato a Parigi ho capito a cosa deve la sua reputazione

Parigi, marzo 2015. (John Schults, Reuters/Contrasto)

Ho spesso canticchiato una vecchia canzone di Charles Trenet, Retour à Paris (Revoir Paris). È un testo pieno di nostalgia per la capitale francese e per i suoi abitanti: “Mio dio come sono tutti gentili/Mio dio che sorriso ha la vita/Mio dio grazie/Mio dio grazie di essere qui”.

A Roma questa vecchia canzone mi ricordava una città felice e disponibile, piccoli artigiani indaffarati e cordiali. Ma è anche vero che è stata scritta nel 1947. La città ritrovava la libertà dopo le privazioni e il coprifuoco della guerra. Come una grossa chioccia, covava i suoi abitanti sotto un cielo pallido e i suoi tetti grigi. Mi capitava di pensarci con nostalgia. Revoir Paris era il mio ritornello segreto.

Ed eccomi, o piuttosto, rieccomi qui! Ritorno a casa per l’ex corrispondente di Le Monde in Italia dopo otto anni passati sotto l’acceso cielo azzurro di Roma. Alla fine di luglio ho lasciato il cuore della città eterna per una periferia calma a sudovest di Parigi. Le strade sono perfettamente rettilinee, avrebbe potute disegnarle un bambino con il righello e il gesso.

Tutte le automobili sono parcheggiate una dietro l’altra come per una sfilata. Ogni automobilista ha scrupolosamente messo in evidenza il biglietto del parcheggio. Quando butto la mia sigaretta sul marciapiede faccio attenzione che nessuno mi veda. Dal 1 ottobre 2015 questo gesto di inciviltà è punito con una multa di 68 euro (rispetto ai 35 di prima). E a questo prezzo preferisco essere prudente.

La persona più gentile del mondo
Quando vivevo in Italia ho sentito dire così spesso che i francesi hanno la reputazione di essere antipatici (e sporchi perché non hanno il bidet nei loro bagni), che ho finito per crederci. Così a Parigi sono diventato la persona più gentile del mondo, tengo la porta aperta alle anziane signore in ascensore, dico “buongiorno” o “buonasera” a chiunque incontri nel cortile del mio palazzo (un sacco di gente, perché non conosco nessuno). E dico anche “mi scusi se la disturbo” prima di chiedere a qualcuno un’informazione.

Così l’altra sera entro in una tabaccheria del quindicesimo arrondissement per chiedere dov’è rue Croix Nivert. Vedo il tabaccaio che sta lucidando il bancone: “Mi scusi sta chiudendo, forse la disturbo?”.

“Se fosse stato chiuso, lei non sarebbe potuto entrare”.

Io (ancora più ossequioso): “Ma forse ha altro da fare?”.

E il tabaccaio, un po’ irritato: “Mi dica!”. Poi mi ha dato l’indicazione che volevo. Io, convinto che le mie buone maniere lo avessero reso più disponibile, mi sono fatto coraggio e gli ho chiesto se per caso conosceva il ristorante dove dovevo andare. “Mai sentito nominare”, mi ha detto con un tono che faceva capire che non era il responsabile dell’ufficio informazioni del quindicesimo arrondissement. Per non offenderlo di più gli ho comprato un pacchetto di Lucky Strike di cui peraltro non avevo bisogno (al modico prezzo di 6,50 euro!).

Ecco un altro aneddoto. Entro per comprare del pane e dei dolci in un forno del mio quartiere per un totale di 7,82 euro. La commessa: “Non ha due centesimi?”. Le ho chiesto di ripetere e lei: “Non ha due centesimi?”. Mi sono sentito quasi in colpa di averla obbligata a chiedermi la somma esatta. In Italia per otto anni nessuno mi ha mai chiesto due centesimi.

Queste piccole monete di rame non interessano i commercianti, ingombrano in cassa e di solito si preferisce arrotondare all’unità inferiore. E anche se questo può comportare la perdita di due o tre euro al giorno, la reputazione della loro gentilezza compensa ampiamente il mancato guadagno. “Mio dio come sono tutti gentili/Mio dio che sorriso ha la vita”. Va bene, la prossima volta parleremo di politica.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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