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I care a lot, trappole a norma 

Marla Grayson ha trovato il modo di realizzare il suo sogno americano sfruttando uno spazio nelle pieghe del sistema. Tutto è perfettamente legale, basta sapere come funziona e avere pochi scrupoli. Prima di tutto bisogna garantirsi la tutela legale di una persona. È abbastanza facile se si tratta di una persona anziana e sola: serve un certificato medico che ne attesti l’incapacità di essere autosufficiente e l’ordine di un giudice. A quel punto, in qualità di tutori legali si ha la piena potestà su tutti i suoi beni. Si svuotano i conti correnti, si mettono in vendita casa, mobili e oggetti di valore. Con una parte dei soldi si paga la retta di una casa di cura. Il resto è tutto guadagno. Jennifer, anziana e sola, sembra la preda ideale, ma ha “amici” molto cattivi pronti a tutto per tirarla fuori dalla gabbia che Marla le ha costruito intorno.


La premessa di I care a lot di J Blakeson fa venire i brividi. Come sappiamo bene l’assistenza sociale può far gola addirittura alle organizzazioni criminali. Nella seconda parte il film abbandona il territorio della commedia dark, si perdono un po’ le tracce di Jennifer e viene da chiedersi con chi dovremmo immedesimarci. Ma il film ha altri meriti. Intanto Rosamund Pike (già si sapeva, almeno da Gone girl in poi), è irresistibile quando mette la sua algida bellezza al servizio di personaggi folli e imprevedibili, malvagi come Marla Grayson. Il cattivone, interpretato da Peter Dinklage, forse non è pienamente convincente ma quando l’attore compare sullo schermo, ricordando le tante serate passate in compagnia di Tyrion Lannister, si ha quasi la sensazione di una rimpatriata. Infine Dianne Wiest è assoluta nei panni di Jennifer: le bastano gli occhi per ricordarci cos’è una grande attrice. Completano il cast Chris Messina ed Eiza González, che interpreta Fran, socia e fidanzata di Marla, l’unica che riesce a farci intravedere in lei un briciolo di umanità. In tutto ciò J Blakeson riesce comunque a tenere dritta la barra e alla fine conduce la nave in porto.

Ma per tornare alla premessa, I care a lot mi ha fatto pensare ad altri film che mettono in evidenza le iniquità dei sistemi pensati per prendersi cura di persone in difficoltà. Intanto Unsane di Steven Soderbergh, in cui Claire Foy finisce praticamente imprigionata in un ospedale psichiatrico solo perché la sua assicurazione medica copre le spese. O la storia raccontata in Orange is the new black delle detenute anziane affette da demenza rilasciate e abbandonate a loro stesse per evitare che diventino un peso per il sistema carcerario. Sulla tutela legale e i suoi paradossi, infine, varrebbe la pena di vedere Framing Britney Spears, il documentario del New York Times (non ancora disponibile in Italia) che racconta come la celebre pop star abbia perso il controllo del suo patrimonio, della sua carriera e della sua vita.

I care a lot
Di J Blakeson. Con Rosamund Pike, Peter Dinklage, Eiza González, Chris Messina, Dianne Wiest. Stati Uniti/Regno Unito 2020, 118’. Su Prime Video

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