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Io non avevo paura

“Hai paura?”, mi ha chiesto in un’intervista un giornalista spagnolo alla ricerca di voci di esponenti della comunità ebraica. “No”, ho risposto. “Preoccupata, forse un po’ tesa?”. “No”. “Niente paura, quindi?”, ha concluso con uno sguardo tra il perplesso e il deluso. “Niente”, ho confermato, aggiungendo poi con un filo di voce: “Forse solo un po’”. “Scusa, hai detto qualcosa?”, ha chiesto alzando gli occhi dal suo piccolo blocco per gli appunti. “No, no nulla”.

Su un tavolino non lontano campeggiava il titolo di un giornale che segnalava un antisemitismo in crescita: secondo una recente ricerca, negli ultimi sette anni il numero degli atti di antisemitismo è cresciuto.

Per un attimo ho pensato di dovermi giustificare, cioè spiegare che quella di non aver paura non era una scelta voluta o consapevole. Avrei potuto aggiungere qualche parola in più sul fatto che in alcuni momenti non puoi avere paura, non perché sia vietato, ma semplicemente perché non serve. Avrei potuto spiegare tutto questo mentre eravamo seduti in un bar affollato di turisti nel cuore del quartiere ebraico di Roma, a due passi dalle auto della polizia. Ma poi ho preferito di no.

Abbiamo continuato a parlare di tensioni, di paure, di antisemitismo e di minoranze. Insomma del solito e per nulla leggero bagaglio culturale che ci viene costantemente attribuito anche quando facciamo finta di dimenticarlo per strada. Abbiamo parlato della nuova moda degli inviati speciali che attraversano la città come un campo di battaglia, muniti di una telecamera (nascosta) e di una kippà.

È passato meno di un anno da quando, su Tablet, Michael Ledeen aveva descritto una fiorente e sicura comunità ebraica italiana. Gli ebrei italiani, scriveva, “si sentono decisamente più al sicuro in Italia rispetto ai correligionari di Francia e Regno Unito. Non c’è mai stato un movimento antisemita di massa, in Italia”. La stessa Italia che, come scrive lo stesso giornalista sul Wall Street Journal, avrebbe l’occasione, per quanto riguarda l’antisemitismo, di distinguersi.

A pochi metri da noi, in via della Vite un negoziante ebreo è stato aggredito nel suo negozio da tre ragazzi incappucciati.

Abbiamo concluso l’intervista in silenzio. La mancanza di paura ormai sembrava un lontano ricordo. Un privilegio perduto.

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