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Una storia esemplare dall’America di Trump

Una manifestazione a sostegno della richiesta di aborto da parte della ragazza messicana di 17 anni conosciuta come Jane Doe a Washington, 20 ottobre 2017. (J. Scott Applewhite, Ap/Ansa)

L’11 settembre di quest’anno una ragazza messicana di 17 anni che viaggiava da sola ha attraversato il confine con gli Stati Uniti ed è entrata in Texas. È stata subito arrestata dagli agenti di frontiera e portata in un centro di detenzione per minori a Brownsville. La ragazza – di cui non è stato rivelato il nome per motivi di privacy e che è conosciuta come Jane Doe o J.D. – era incinta di sedici settimane e voleva abortire. Le autorità del centro, su ordine del dipartimento della salute, hanno respinto la sua richiesta sostenendo che “il governo ha il compito di proteggere la salute di tutti i minori e dei loro figli che sono nelle strutture”.

A quel punto è cominciata una battaglia legale tra il governo e gli avvocati della ragazza – sostenuti anche dalle associazioni per i diritti civili – da cui sono emersi molti elementi rivelatori su alcuni aspetti degli Stati Uniti di oggi, dall’influenza della destra religiosa sui più alti livelli del governo all’ipocrisia delle attuali politiche sull’immigrazione fino al modo in cui i tribunali vengono usati sempre più spesso per combattere battaglie politiche e cercare di togliere alle persone diritti che dovrebbero essere acquisiti.

Jane Doe si è rivolta a un tribunale federale (per legge le minorenni che vogliono abortire devono chiedere il permesso a una corte), e il 18 ottobre il giudice ha ordinato all’amministrazione Trump di accettare la sua richiesta. Il governo però si è opposto e due giorni dopo una corte d’appello del distretto di Columbia, formata da tre giudici, ha sospeso la sentenza fino al 31 ottobre: se entro quella data la ragazza non fosse riuscita a trovare uno “sponsor” (in pratica una clinica privata dove abortire) avrebbe potuto rivolgersi di nuovo alla corte d’appello.

L’amministrazione Trump ha di fatto chiesto a una minorenne di scegliere tra una maternità forzata e il ritorno in un contesto di violenza

Ma nel frattempo i giorni passavano e Jane Doe si avvicinava alla ventesima settimana di gravidanza, il momento in cui l’aborto diventa illegale in Texas. L’American civil liberty union (Aclu), un’organizzazione impegnata nella difesa dei diritti civili, ha contestato la sentenza della corte d’appello definendola una violazione costituzionale del diritto delle donne ad abortire, facendo notare tra l’altro che la ragazza era rimasta incinta contro la sua volontà ed era scappata negli Stati Uniti proprio per sottrarsi a quel destino. Nel frattempo in varie città venivano organizzate manifestazioni in sostegno del diritto della ragazza a interrompere la gravidanza.

La parte più preoccupante della vicenda è arrivata poco dopo. Riguarda il modo in cui il governo ha risposto alla richiesta di una nuova udienza fatta dagli avvocati di Jane Doe. “Ogni ostacolo alla possibilità di interrompere la gravidanza è frutto solo delle sue scelte”, ha sostenuto il dipartimento di giustizia. Il governo, cioè, dava alla ragazza la colpa di trovarsi in quella situazione: è lei che ha deciso di entrare negli Stati Uniti illegalmente, quindi potrebbe facilmente rimuovere “l’ostacolo” che le impedisce di abortire tornandosene in Messico. Sostenendo questa tesi, l’amministrazione Trump ha di fatto chiesto a una minorenne di scegliere tra una maternità forzata e il ritorno nel contesto di abusi e violenza da cui aveva fatto di tutto per scappare, peraltro senza considerare che una volta in Messico la ragazza non potrebbe abortire, almeno non legalmente.

Fatto ancora più inquietante, il dipartimento di giustizia ha sostenuto che aiutando Jane Doe ad abortire (un diritto sancito da una sentenza della corte suprema del 1973) il governo diventerebbe “complice nell’interruzione di gravidanza, cosa che non ha nessuna intenzione di fare”. E ha aggiunto che “il dipartimento della salute” ha un interesse “legittimo e significativo” nel proteggere la vita di un nascituro. In questo modo l’amministrazione Trump ha ammesso, in maniera neanche troppo velata, di considerare le idee religiose delle persone che occupano il potere al di sopra delle leggi ordinarie e perfino della costituzione. Probabilmente questa vicenda, più di tante altre tra quelle controverse che hanno riguardato l’amministrazione Trump, fa capire bene il modo in cui il presidente concepisce il potere e lo stato di diritto, e come ha trasmesso questa visione ai vari livelli del governo.

A questo si aggiunge l’ipocrisia di un’amministrazione che fa di tutto per tenere i migranti fuori dagli Stati Uniti e per espellere chi è nel paese illegalmente, ma poi cerca di costringere un donna – che come minorenne entrata illegalmente è destinata a tornare nel suo paese o a restare negli Stati Uniti ma senza diventarne una cittadina – a mettere al mondo un figlio statunitense.

Il 24 ottobre la vicenda si è risolta in favore di Jane Doe: la corte d’appello del distretto di Columbia ha riconosciuto il diritto della ragazza ad abortire, e il giorno dopo è stata sottoposta all’intervento per interrompere la gravidanza. Ha affidato il suo pensiero agli avvocati dell’Aclu: “Ho preso una decisione che riguarda me e Dio. In tutto questo tempo non ho mai cambiato idea”.

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