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La normalità della violenza

Il campo profughi palestinese di Jalazone, vicino a Ramallah, il 25 giugno 2018. (Mohamad Torokman, Reuters/Contrasto)

Amira Hass sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 6 e 7 ottobre.

“Portami in un luogo sconvolgente”, mi ha detto Robert Fisk, il giornalista dell’Independent, appena arrivato dalla Siria. Stesso fuso orario, pochi chilometri di distanza. Un luogo e una missione giornalistica che non oso immaginare.

Quanto può essere sconvolgente Ramallah in una giornata di sole, con le strade piene di auto e commercianti, e i bambini usciti da scuola che ridono come se non ci fosse una torretta militare accanto al muro che separa il loro campo profughi da un lussuoso insediamento? L’asticella di cosa è sconvolgente continua ad alzarsi, mentre quella della “normalità” scivola verso il basso. Rischiamo di diventare insensibili a tutta questa crudeltà. Ho fatto attenzione a non scrivere “sofferenza”. La sofferenza, nel nostro caso, è la conseguenza degli atti e delle politiche di Israele.

Penso di essere riuscita a sconvolgere Fisk. Mi sembra che non abbia semplicemente fatto finta di essere sorpreso dalla tranquilla violenza del muro che circonda il bantustan di Ramallah, dalle pietre che i figli dei coloni avevano lanciato contro il tetto di una casa alla periferia della città e dai negozi chiusi e gli appartamenti vuoti in un quartiere che era stato isolato dal muro. “Sembra una zona di guerra”, mi ha detto Fisk riferendosi a Bir Nabala, a sud di Ramallah. Su una torretta militare c’era scritto: “Sono stati gli ebrei a fare l’11 settembre”. Fisk è sembrato offeso da tanta stupidità. Mi sono messa a ridere e mi sono accorta di quanto sono diventata insensibile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito il 14 settembre 2018 nel numero 1273 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati

Amira Hass sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 6 e 7 ottobre.

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