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I punti controversi della legge sul reato di tortura

Una manifestazione di Amnesty International per chiedere l’introduzione del reato di tortura, a Roma, il 17 aprile 2015. (Roberto Monaldo, Lapresse)

Il 17 maggio il senato italiano ha approvato il disegno di legge che prevede l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento penale italiano con 195 voti a favore, otto contrari e 34 astenuti. Il testo, esaminato dal senato per la terza volta dopo numerose modifiche, ora torna alla camera per essere approvato. Il disegno di legge, tuttavia, è stato criticato dalle associazioni per i diritti umani che da anni chiedono di introdurre una legge di questo tipo anche in Italia, 28 anni dopo aver ratificato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

Il senatore Luigi Manconi, che è stato il promotore della legge nella sua prima versione, si è astenuto dal voto del 17 maggio. “La scelta di non votare il disegno di legge per me è stata particolarmente gravosa, perché il disegno di legge in origine portava il mio nome”, ha scritto Manconi sul Manifesto. “Non ho partecipato al voto perché ritengo che quello approvato sia un testo mediocre”, ha spiegato Manconi. Si è astenuto anche l’ex magistrato Felice Casson e tutti i senatori di Sinistra italiana. Casson ha definito la legge “un compromesso al ribasso”, che di fatto rende impossibile applicare la disposizione nei tribunali.

Cosa prevede il disegno di legge
Il testo si compone di due articoli: il 613 bis e il 613 ter. La nuova legge prevede una pena da quattro a dieci anni di reclusione per chi “con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”. Nelle diverse riscritture al senato è stato aggiunto: “Se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

Il disegno di legge prevede inoltre che se il reato di tortura lo commette un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o un incaricato di un pubblico servizio nell’esecuzione del servizio, la pena vada da cinque a dodici anni di reclusione. Se dalla tortura deriva la morte quale conseguenza non voluta dal torturatore la pena è di trent’anni di reclusione. Ma se il torturatore cagiona volontariamente la morte, la pena è l’ergastolo. È punito anche il reato di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura e si disciplinano immunità ed estradizione nei confronti di cittadini stranieri sottoposti a procedimenti o condannati per il reato di tortura.

Le critiche alla norma
In una scheda sul sito dell’associazione A buon diritto Gaia Romeo spiega quali sono i limiti della nuova legge secondo le associazioni che si occupano da anni della questione. “Nel testo che approderà alla camera il reato di tortura è un reato comune”. Il reato cioè sarà imputabile a chiunque, non solo al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, come invece prescritto dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Per sussistere, inoltre, il reato “deve essere stato compiuto con crudeltà e mediante più condotte e deve provocare un verificabile trauma psichico”.

“Si specifica inoltre che la legge non è applicabile nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti, ma si prevede un aumento della pena se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio”, scrive Romeo. L’associazione Antigone ha commentato l’approvazione della legge dicendo: “Questa legge sarà difficilmente applicabile. Il limitare la tortura ai soli comportamenti ripetuti nel tempo e a circoscrivere in modo inaccettabile l’ipotesi della tortura mentale è assurdo per chiunque abbia un minimo di conoscenza del fenomeno della tortura nel mondo contemporaneo”.

Non si vuole perseguire la violenza intenzionale dei pubblici ufficiali

Amnesty international ha aggiunto: “Con rammarico prendiamo atto del fatto che la volontà di proteggere, a qualunque costo, gli appartenenti all’apparato statale, anche quando commettono gravi violazioni dei diritti umani, continua a venire prima di una legge sulla tortura in linea con gli standard internazionali che risponda realmente agli impegni assunti 28 anni fa con la ratifica della Convenzione”. “Le modifiche approvate lasciano ampi spazi discrezionali”, ha spiegato il senatore Luigi Manconi prima del voto. “Tutto ciò significa ancora una volta che non si vuole seriamente perseguire la violenza intenzionale dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio in danno delle persone private della libertà, o comunque loro affidate”.

Alcuni casi di tortura in Italia

  • Il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per le torture subite da Arnaldo Cestaro, un attivista italiano picchiato a Genova nel luglio del 2001 durante il blitz della polizia alla scuola Diaz nel 2001. La corte europea condannò l’Italia perché il reato di tortura non era previsto dall’ordinamento penale italiano. Secondo la corte, Cestaro fu “aggredito da parte di alcuni agenti a calci e a colpi di manganello” in assenza “di ogni nesso di causalità” tra il comportamento dell’uomo e l’uso della forza da parte della polizia.
  • Nell’aprile del 2016 il governo italiano ha risarcito con un totale di 45mila euro i danni morali e le spese processuali sostenuti da sei persone che avevano subìto violenze e torture nella caserma di Bolzaneto, sempre al G8 di Genova nel 2001, e per questo avevano presentato ricorso alla Cedu. Lo stato italiano ha riconosciuto che non esisteva una legge adeguata nel paese per perseguire il tipo di reati di cui quelle sei persone erano state vittime.
  • Nel dicembre del 2015, la Corte europea ha dato ragione ad Andrea Cirino, 38 anni, che aveva presentato il ricorso, denunciando un gruppo di 15 poliziotti che nel 2009 lo avevano sottoposto a tortura mentre era detenuto nel carcere di Asti. Cirino non ha mai ottenuto la condanna dei suoi torturatori perché in Italia questa fattispecie di reato non esiste.
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