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La guardia costiera libica minaccia l’ong Proactiva Open Arms

Un’operazione di salvataggio nel Mediterraneo dell’ong spagnola Proactiva Open Arms, il 1 aprile 2017. (Yannis Behrakis, Reuters/Contrasto)

Alle 7 di giovedì 15 marzo la Centrale operativa della guardia costiera italiana ha contattato la nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms per segnalare un gommone con più di cento persone a bordo in difficoltà a 25 miglia dalle coste libiche. La nave umanitaria si è diretta verso l’obiettivo indicato, ma dopo venti minuti un’altra chiamata da Roma ha chiesto agli spagnoli d’interrompere la missione e di lasciare il campo alla guardia costiera libica, che avrebbe dovuto coordinare l’operazione.

Mezz’ora dopo un’altra chiamata da Roma ha segnalato un barcone in difficoltà, molto vicino al precedente: a 27 miglia dalla Libia, in acque internazionali. Le lance di soccorso di Open Arms sono intervenute e hanno trovato un gommone con 117 persone a bordo che stava riempiendosi di acqua, con diversi migranti in mare e alcuni che avevano bisogno di un immediato intervento dei medici.

Sono stati soccorsi 109 uomini e otto donne. Intorno alle 10.30, quando i soccorsi erano ormai conclusi, l’imbarcazione di Open Arms è stata contattata via radio dalla guardia costiera di Tripoli, che ha intimato di consegnare i migranti soccorsi alla nave libica. Gli spagnoli hanno rifiutato. “Sappiamo che i libici hanno compiuto numerose azioni illegali, abusi e maltrattamenti ai danni dei migranti. Sappiamo anche che i libici non hanno giurisdizione in acque internazionali, anche se collaborano con l’Italia e l’Europa, quindi non abbiamo obbedito alla loro richiesta di trasferire i migranti”, spiega Riccardo Gatti, portavoce di Proactiva Open Arms.

È la quarta volta che i libici interferiscono con i soccorsi, violando le norme internazionali

Più tardi, nel corso della giornata, la stessa nave ha partecipato ad altri soccorsi e nel pomeriggio si è trovata di nuovo in difficoltà con la guardia costiera libica a più di 70 miglia dalle coste nordafricane. Dopo essere intervenuti in soccorso di un’imbarcazione con donne e bambini di nazionalità eritrea, i gommoni di salvataggio degli spagnoli sono stati bloccati dai libici che hanno minacciato di ricorrere alla forza se i migranti non fossero stati consegnati alle motovedette di Tripoli. Alcuni guardacoste libici sono saliti sulle lance di soccorso di Open Arms, rendendo la situazione ancora più difficile.

La motovedetta libica – 648 Ras Jadir – inoltre, si è posizionata tra l’imbarcazione dei migranti e la nave dell’ong, impedendo alle lance di soccorso, che stavano distribuendo i giubbotti di salvataggio, di continuare il recupero. Il senatore Luigi Manconi ha definito l’intimidazione dei libici di una “gravità estrema”.

“I libici con le armi spianate hanno intimato alla nave spagnola di non muoversi e hanno minacciato di condurre a Tripoli le lance di recupero, che continuavano a essere vicine ai migranti. I libici pretendevano che l’equipaggio delle lance consegnasse donne e bambini, altrimenti avrebbero fatto fuoco sui volontari”, ha spiegato Manconi. Questa situazione di tensione è durata per almeno due ore, fino a quando i libici si sono ritirati. Sono state soccorse in tutto 218 persone.

“È la quarta volta che i libici interferiscono con i soccorsi, violando le norme internazionali”, ha dichiarato Manconi, dicendo di aver allertato il ministro dei trasporti Graziano Delrio, che è il responsabile della guardia costiera italiana. Dopo i soccorsi, la nave dell’ong ha navigato per più di 48 ore senza che la centrale operativa di Roma gli assegnasse un porto di sbarco. Una neonata in condizioni gravissime è stata trasferita insieme con la madre a Malta, attraverso un’evacuazione medica.

La guardia costiera italiana in un comunicato ha spiegato che il coordinamento dei soccorsi il 15 marzo è stato assegnato alla guardia costiera libica. Inoltre per la prima volta nella storia dei soccorsi in mare, la Centrale operativa della guardia costiera italiana ha atteso che il governo spagnolo chiedesse l’autorizzazione agli italiani per fare attraccare in un porto italiano la nave dell’ong che batte bandiera spagnola. “L’unità ong dirigeva verso nord-ovest, con i naufraghi a bordo, in attesa che lo stato di bandiera, la Spagna, come prevedono le normative internazionali, concordasse con uno stato costiero, il porto di destinazione dei naufraghi”, è scritto nel comunicato. La nave spagnola è infine attraccata nel porto siciliano di Pozzallo il 17 marzo.

Le polemiche sulla morte di Segen
Negli ultimi giorni la stessa ong spagnola è stata protagonista di un altro episodio drammatico. Il 13 marzo, subito dopo l’arrivo in Italia, è morto un migrante eritreo di nome Segen: aveva 22 anni, era stato soccorso dalla nave di Proactiva Open Arms, era sbarcato a Pozzallo ed era stato ricoverato all’ospedale di Modica perché presentava i sintomi di una grave denutrizione, “cachessia” era scritto sulla cartella medica riportata da Alessandra Ziniti su Repubblica. Pesava 35 chili ed era alto un metro e settanta. Segen era stato rinchiuso in un centro di detenzione libico per 19 mesi. Il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna, definendo le condizioni di salute dell’uomo, aveva fatto un paragone con i campi di concentramento nazisti.

“Mi è sembrato di tornare indietro di settant’anni. Quel ragazzo sembrava venir fuori da Auschwitz, uno scheletro con un sistema immunitario ridotto ai minimi termini”, aveva detto Ammatuna, che è anche primario del pronto soccorso dell’ospedale di Modica. Per Riccardo Gatti di Open Arms le condizioni estreme di Segen “sono indicative delle condizioni in cui vivono i migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici, gli eritrei in particolare soccorsi negli ultimi mesi presentano condizioni di malnutrizione davvero preoccupanti e casi di scabbia gravi”. Anche per Marco Rotunno dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) “non c’è dubbio che l’aggravarsi delle condizioni generali (dei migranti) è dovuto al prolungarsi dei tempi in cui queste persone sono costrette a rimanere nei centri di detenzione in Libia”.

Tuttavia, la prefettura di Ragusa il 14 marzo ha smentito la notizia diffusa dai giornali, dicendo che Segen sarebbe morto per una “pregressa grave malattia in fase terminale”. Notizia che è messa in discussione dai medici di Proactiva Open Arms che in un comunicato hanno detto di aver fatto degli accertamenti medici a bordo da cui non risultava che l’uomo fosse malato. “Aspettiamo i risultati dell’autopsia”, conclude Riccardo Gatti.

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