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Il palmarès imperfetto di Angoulême

La saga de Grimr di Jérémie Moreau.

Si è concluso il 28 gennaio il 45º festival internazionale del fumetto di Angoulême. Ottima edizione nel suo insieme – con molte esposizioni di notevole interesse a cominciare dai giapponesi Osamu Tezuka e Naoki Urasawa oltre al francese Emmanuel Guibert – e con un buon palmarès, anche se imperfetto riguardo ai libri premiati, conferma un festival in buona forma anche se in futuro dovrà tornare a guardare da vicino le frontiere più avanzate del fumetto d’autore.

Sul palmarès diremo semplicemente che l’opera vincitrice – La saga de Grimr, di Jérémie Moreau – è un libro più che dignitoso, anche meritevole di un’edizione italiana, poiché il giovane autore va incoraggiato, ma che non regge il confronto con il capolavoro Paesaggio dopo la battaglia (Coconino press) di Éric Lambé e Philippe de Pierpont, il titolo che vinse l’anno scorso, più che meritatamente. Senza voler essere esageratamente duri, possibile che non ci fosse un’opera sempre accessibile ma più potente, più forte, del pur pregevole La saga de Grimr?

Pienamente meritati invece i premi agli altri titoli: quello speciale della giuria, andato a Les amours suspendues di Marion Fayolle, autrice in crescita del fumetto sperimentale francese; e quelli alla miglior serie e alla rivelazione, entrambi destinati a due astri del nuovo fumetto indipendente statunitense come Simon Hanselmann (Happy fucking birthday) e Nick Ornaso (Beverly), acuti entomologi dell’alienazione pubblicati in Italia da Coconino press. Per il resto grande girandola di incontri, conferenze, atelier e master class, come quella dedicata a Naoki Urasawa, e una quantità di esposizioni di alto livello di cui vi proponiamo una panoramica selettiva.

Un maestro della memoria
Per fermarci su quella, davvero perfetta, dedicata a Emmanuel Guibert, vincitore nel 2017 del prestigioso premio Goscinny. L’autore di Il fotografo, della trilogia La guerra di Alan e ancora di L’infanzia di Alan e del recente Martha & Alan (tutti editi in Italia da Coconino press), appare ormai come un maestro al pari dei grandi del passato. Un maestro della memoria.

Le tavole delle sue storie, come anche le sue illustrazioni dall’Italia o dal Giappone, sono delle visioni stilizzate, che trasfigurano – mediante un lavoro di fusione – l’iconografia fotografica con quella di certi grandi illustratori, e celebrano non solo un tempo che mai più tornerà ma soprattutto l’essenza di una certa dimensione umana che mai più tornerà (creando in questo un’eco significativa a quella di Cosey). Guibert coglie istanti che si rivelano condensati di una memoria recente, quella degli Stati Uniti degli anni quaranta, come fosse sedimentata nell’inconscio collettivo. Ne esce una rivisitazione onirica del tempo passato realmente potente e profonda.

Oltre a stupire e affascinare per le particolarissime tecniche grafiche utilizzate come anche per l’originalità dei supporti, le tavole scelte dimostravano bene che La guerra di Alan assurge a poema umano di tutte le guerre, L’infanzia di Alan a poema di tutte le infanzie e Martha & Alan a poema di fedeltà all’ideale di amicizia che nella fattispecie trova la sua base nell’infanzia ed è trasversale ai sessi. Tematiche che troviamo condensate e anticipate in Il fotografo.

L’esposizione dedicata a Naoki Urasawa (a Parigi all’Hôtel de ville fino al 31 marzo), creatore di saghe di grande successo del manga recente come Monsters o Pluto, rivela un autore dalla mano sicura, dalle atmosfere intense e dalla notevole finezza psicologica.

Una sinfonia di tavole
Ma è l’esposizione dedicata a colui che fu soprannominato dio del manga, Osamu Tezuka (museo di Angoulême, fino all’11 marzo), a essere quasi un capolavoro. Se si ha un’idea delle quantità di tavole disegnate da un autore dell’industria del manga si ha allora un’idea di quante tavole abbia disegnato in oltre quarant’anni di carriera il mangaka più famoso della storia del Giappone. Qui sono esposte circa 200 tavole, tra cui molte mai uscite prima dal Giappone.

Il padre di Astroboy, la principessa Zaffiro, Re Leo (che ha ispirato alla Disney il poco ispirato Re Leone) e di tanti altri personaggi, autore influente per la carriera di tanti autori di manga e di anime (tra cui Hayao Miyazaki), è anche stato autore di fondamentali graphic novel, sia di genere sia d’impegno sociale e politico, come la lunga storia sul collaborazionismo giapponese con il nazismo La storia dei tre Adolf (Hazard edizioni), oppure Ayako (Hazard edizioni) coraggiosa radiografia della condizione femminile in certi ambienti sociali del Giappone degli anni settanta.

Si può immaginare cosa sarebbe stato se avessero fatto la stessa cosa nei propri paesi Walt Disney, Jacovitti o Hergé, il creatore di Tintin. L’esposizione ha presentato una scelta di tavole che rivelano un’oculatezza reale nello scegliere gli esempi giusti per ogni epoca e opera, mettendo in relazione e perfino in contraddizione le varie epoche della sua carriera. All’uscita si ha quasi l’impressione di aver seguito una sorta di sinfonia, una mostra di poesia, dove la delicata eleganza del segno calligrafico dell’autore non finiva di stupire e ammaliare al pari dell’originalità nella composizione e nel montaggio delle tavole.

Impossibile non citare la grande mostra al museo del fumetto della città (fino al 13 maggio) dedicata a un altro dei maestri della linea chiara belga, Jacques Martin e il suo Alix, ragazzo gallo-romano al centro di infinite avventure dal taglio fortemente realistico, in cui il rispetto verso le altre culture era sempre accompagnato da una rigorosa documentazione. Una mostra che rivela un autore davvero ricco di profondità, soprattutto potente nell’evocare da un lato un’epoca ideale e dall’altro un potenziale scontro, spesso convulso, tra ideale e realtà. Perfette le musiche scelte per accompagnare e sottolineare la potenza di questo scontro.

Nuovi tratti dal mondo arabo
Infine, è doveroso citare l’esposizione al museo del fumetto (visitabile fino a novembre, avrebbe meritato maggior visibilità), dedicata al fumetto del mondo arabo. Dal Libano al Marocco, dall’Egitto alla Tunisia, dall’Algeria alla Giordania, senza dimenticare Palestina, Iraq, Libia e Siria, ha rivelato un florilegio di opere dall’energia contagiosa. Tra i molti nomi, alcuni già pubblicati da Internazionale, come il libanese Mazen Kerbaj o il tunisino Othman Selmi, alcune sorprese, come l’algerino Nawel Louerrad, alcune conferme, anche se sconosciute da noi, come il siriano Hamid Sulaiman, molte donne e molti collettivi, tra i quali primeggia forse l’egiziano Tok Tok.

Un movimento dinamico di grande interesse dove il classicismo è spesso prossimo all’avanguardia o alla sperimentazione, che opportune edizioni anche italiane potrebbero altrettanto mettere in valore. Come ha invece saputo fare il museo del fumetto con il copioso libro-catalogo da affiancare a un elegante oggetto-libro, La nouvelle bande dessinée arabe, edito da Actes Sud. Oltre al piacere di ritrovare il francese Golo che vive da decenni tra la Francia e l’Egitto con delle cartoline realizzate per lo spazio di Graphic Journalism di Internazionale, permette di prolungare significativamente questo viaggio facendo ulteriori nuove scoperte.

Va detto al lettore italiano che i volumi-cataloghi delle varie mostre (Tezuka, Cosey, Martin, Urasawa), per l’eleganza grafica, l’altezza del formato, la copiosità della foliazione, la qualità dei testi e del vasto materiale iconografico sono l’esempio stesso di quello che dovrebbe fare un festival del fumetto e ne raccomandiamo quindi l’acquisto se anche si conosce appena la lingua francese.

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