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Yokosuka story #98. (Ishiuchi Miyako)
Yokosuka Story #34. (Ishiuchi Miyako)
Yokosuka story #73. (Ishiuchi Miyako)
Apartment #19. (Ishiuchi Miyako)
Endless night #2. (Ishiuchi Miyako)
Yokosuka Story #121. (Ishiuchi Miyako)
Yokosuka story #64. (Ishiuchi Miyako)
Apartment #10. (Ishiuchi Miyako)
(Ishiuchi Miyako)
Yokosuka story #58. (Ishiuchi Miyako)

Fantasmi giapponesi

Il museo J. Paul Getty di Los Angeles dedica una retrospettiva, la prima negli Stati Uniti, a Miyako Ishiuchi, fotografa che nella sua lunga carriera ha tracciato una storia personale del Giappone nel secondo dopoguerra.

Ishiuchi, nata nel 1947, cresce a Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa, durante l’occupazione militare statunitense durata fino al 1952. Della guerra resterà poi solo la base navale, una presenza ingombrante che proietterà a lungo sulla fotografa e sul resto della popolazione i fantasmi di un conflitto ancora recente.

Fin da bambina, Ishiuchi vive l’occupazione in modo ambivalente, rimanendo affascinata dalla cultura pop portata dai soldati ma anche terrorizzata dalla costante presenza militare. Questa esperienza la spinge a tornare nella sua città negli anni settanta per dare vita al suo progetto più ispirato, Yokosuka story, che la proietta subito nel mondo della fotografia giapponese, allora dominato dagli uomini e rimasto decisamente turbato dal suo approccio soggettivo.

Attraverso l’uso del bianco e nero sgranato e contrastato, le immagini di Ishiuchi cercano un rapporto emotivo con il soggetto, riuscendo però anche a disegnare una specie di aura di alienazione, che rappresenta bene il carattere stesso della fotografa, cresciuta come una straniera in un luogo straniero.

La mostra di Los Angeles (aperta al pubblico fino al 21 febbraio 2016) presenta anche un progetto più recente di Ishiuchi, ひろしま/hiroshima (2007), dove la parola Hiroshima è scritta anche in hiragana, uno dei due alfabeti fonetici giapponesi, che storicamente è stato sviluppato dalle donne. Ishiuchi ha documentato gli oggetti appartenuti alle donne, e che sono stati ritrovati dopo il bombardamento di Hiroshima. Immagini che riescono a parlare del trauma collettivo subìto dal Giappone dopo la fine della guerra e che nella rappresentazione di oggetti comuni cercano un’empatia con ognuno di noi per farci riflettere sui cosiddetti effetti collaterali dei conflitti.

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