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I funerali di Jaber Abu Mustafa, un uomo palestinese ucciso al confine tra Israele e Gaza durante le proteste contro il blocco israeliano. Khan Younis, Striscia di Gaza, maggio 2018. (Emanuele Satolli)
Combattenti legati al Governo di accordo nazionale (Gna) sostano sotto una tenda lungo la linea del fronte dell’aeroporto internazionale di Tripoli, Libia, luglio 2019. (Emanuele Satolli)
Militanti dell’Isis accusati di aver partecipato a un raid nella città irachena di Kirkuk sono trattenuti in una stazione di polizia. Mosul, Iraq, novembre 2016. (Emanuele Satolli)
Soldati dell’esercito iracheno soccorrono una donna riuscita fuggita da un’area sotto il controllo dell’Isis nel distretto di al-Zanjili. Mosul, Iraq, giugno 2017. (Emanuele Satolli)
Il corpo di Oleksandr Sukhenko rinvenuto in una fossa comune nel villaggio di Motyzhyn. Oleksandr, suo padre Ihor e sua madre Olha, sindaca del villaggio, sono stati rapiti dai soldati russi, giustiziati e sepolti insieme ad altri due corpi in una fossa nella foresta. Motyzhyn, Ucraina. aprile 2022. (Emanuele Satolli)
Un villaggio nella regione nordorientale della provincia di Baghlan, in una delle aree sotto il controllo dei talebani. Provincia di Baghlan, Afghanistan, aprile 2021. (Emanuele Satolli)
Nemo, nome di battaglia di Kostyantyn Rusanov, ferito da una mina antiuomo, riceve delle cure per bloccare una forte emorragia al braccio. Villaggio di Sulyhivka, Ucraina, settembre 2022. (Emanuele Satolli)
Kabul vista da un elicottero Black hawk dell’esercito statunitense, Afghanistan, agosto 2018. (Emanuele Satolli)

Raccontare la guerra

Emanuele Satolli è un fotogiornalista italiano nato a Fabriano nel 1979. Da anni impegnato nella copertura dei conflitti e delle crisi umanitarie internazionali, ha documentato la riconquista di Mosul durante l’offensiva irachena contro il gruppo Stato islamico e la caduta del califfato a Raqqa, sua roccaforte in Siria. Ha raccontato le proteste esplose a Gaza dopo il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e ha viaggiato più volte in Afghanistan, al seguito delle truppe statunitensi e poi da solo nelle aree controllate dai taliban, prima del loro ritorno al potere.

Subito dopo l’invasione russa, ha seguito da vicino la guerra in Ucraina. Le sue fotografie sono state pubblicate dai principali quotidiani e riviste internazionali, tra cui Time e il Wall Street Journal.

Satolli si interroga su come raccontare la guerra, oggi che è ovunque. L’orrore non è solo nei corpi mutilati o dilaniati dalle bombe, ma riguarda anche chi sopravvive e deve trovare il modo di andare avanti. Le conseguenze sulla popolazione civile sono al centro della sua indagine.

Dal 10 ottobre all’8 novembre le fotografie di Emanuele Satolli saranno esposte a Milano, alla galleria Assab One, in una mostra dal titolo That thing that never vanished curata da Giulia Tornari (fondatrice di Zona e Gramma Studio, realtà dedicate all’approfondimento di questioni sociali attraverso progetti visivi) insieme ad Angelo Castucci.

“In un’epoca dominata dalla proliferazione di immagini digitali — tra propaganda, disinformazione e produzioni sintetiche generate dall’intelligenza artificiale — il lavoro di Satolli riafferma il valore della fotografia come testimonianza diretta e custode della memoria”, scrive Tornari nell’introduzione alla mostra. “Le sue immagini documentano storie di persone e luoghi segnati dalla guerra e colpiscono per la prossimità ai soggetti fotografati, restituendo l’intimità delle esperienze vissute in contesti estremi, attraverso uno sguardo che coniuga rigore documentario e responsabilità etica”.

Accompagnata dall’omonimo libro pubblicato da Gost Books, la rassegna è il risultato di più di dieci anni di lavoro nelle principali zone di guerra ed è un’occasione per capire quali strumenti possono essere ancora usati per narrare un conflitto.

Anche quando, come scriveva Susan Sontag in Davanti al dolore degli altri, “non riusciamo a immaginare davvero come è stato. Non possiamo immaginare quanto sia terribile e terrificante la guerra; e quanto normale diventi. Non capiamo, non immaginiamo. È questo ciò che pensano con convinzione tutti i soldati, e tutti i giornalisti, gli operatori umanitari, gli osservatori indipendenti che si sono ripetutamente esposti al fuoco e hanno avuto la fortuna di eludere la morte che ha falciato chi stava loro vicino. E hanno ragione”.

La mostra inaugura il 9 ottobre e va avanti fino all’8 novembre.

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