18 ottobre 2017 11:53

Era la capitale del gruppo Stato islamico (Is) in Siria, come Mosul lo era stata in Iraq, e da lì gli assassini jihadisti organizzavano i loro attentati in tutto il mondo, a cominciare dall’Europa. Il 17 ottobre è arrivata finalmente la liberazione di Raqqa, città martoriata dagli estremisti islamici che l’avevano conquistata tre anni fa. È una grande notizia, ma cosa succederà in futuro?

La guerra in Siria, tanto per cominciare, non è finita, perché contrariamente a quello che vorrebbero farci credere Bashar al Assad e i suoi alleati russi e iraniani, il conflitto non era tra l’Is e il regime di Damasco. Nata dalle manifestazioni democratiche organizzate in Siria come nel resto del mondo arabo nel 2011, questa guerra oppone la maggioranza sunnita della popolazione alla dittatura del clan Assad, appartenente alla minoranza alauita, ramo dello sciismo.

Temendo di perdere la partita, il clan Assad aveva fatto liberare nell’autunno del 2011 i più esaltati islamisti siriani affinché facessero concorrenza all’insurrezione democratica, spingendo il mondo ad appoggiare il regime di Damasco per paura del jihadismo. A quel punto abbiamo assistito a una fusione tra gli estremisti siriani e gli ex ufficiali dell’esercito iracheno di Saddam Hussein, che al di là di qualsiasi rivendicazione religiosa volevano fondare un nuovo stato sunnita a cavallo tra l’Iraq e la Siria. Questa alleanza ha rafforzato l’Is sia in Iraq sia in Siria. Ma chi ha davvero combattuto i terroristi?

Un’uscita di scena inutile
Prima di tutto i ribelli siriani, che avevano cacciato l’Is da Aleppo prima di essere schiacciati dall’aviazione russa. Poi le milizie curde, che hanno riconquistato Mosul. E infine le Forze democratiche siriane, un’alleanza formata da curdi e democratici siriani appoggiata dall’aviazione della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.

Non è stato il regime di Damasco a liberare Raqqa, ma le forze che lo combattano. Per questo l’uscita di scena dell’Is, pur essenziale e da accogliere con gioia, non risolve niente.

Cinque milioni di siriani, spesso più istruiti rispetto alla media, sono scappati da un paese che ormai è quasi totalmente distrutto. La spaccatura tra il paese legale e il paese reale è più profonda che mai. I curdi siriani non vogliono tornare sotto la tutela di Damasco, tanto quanto i curdi iracheni vogliono sfuggire al controllo di Baghdad.

In Iraq come in Siria, le frontiere tracciate dalle potenze coloniali all’inizio del novecento sono state distrutte, e sulle loro macerie oggi si affrontano le due religioni dell’islam, sciismo e sunnismo, con i rispettivi paladini, Iran e Arabia Saudita. Con gli Stati Uniti sempre più assenti e l’Europa ancora inesistente, non possiamo certo aspettarci che il Medio Oriente trovi pace in tempi brevi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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