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Correzioni

Francia, anni trenta.

Lo hanno chiamato “il dilemma delle correzioni”. Una ricerca condotta dal NewsCo/Lab dall’Arizona state university con il Dartmouth college ha cercato di valutare l’effetto degli errata corrige pubblicati nei giornali sulla fiducia di lettori e lettrici.

Sono state intervistate 2.862 persone, a cui sono state fatte leggere delle notizie e le relative correzioni, quelli che di solito compaiono nella pagina delle lettere (come nel caso di Internazionale) oppure in fondo agli articoli quando sono online.

I risultati sono stati pubblicati di recente nel Journal of Experimental Political Science. La buona notizia, scrive Dan Gillmor su NiemanLab, è che le correzioni funzionano: “Quando correggi i tuoi errori, i lettori hanno una comprensione più accurata dell’articolo che hai scritto”.

Ma c’è anche una cattiva notizia: “Dopo aver visto le correzioni, le persone tendono a fidarsi meno di quello che scrivi”. La ricerca sembra contraddire un’ipotesi che lo stesso Gillmor aveva fatto tempo fa: che gli errata corrige – un elemento cruciale della trasparenza giornalistica – spingerebbero i lettori a “crederti di meno ma a fidarsi di più”.

La soluzione, però, non è ignorare gli errori o addirittura nasconderli. Per ragioni deontologiche, innanzitutto, ma anche perché se sono altri ad accorgersene e a segnalarli c’è il rischio di minare ancora di più la credibilità del giornale.

“I giornalisti dovrebbero volere, più di ogni altra cosa, che i loro lettori siano informati correttamente. Se pubblicare le correzioni comporta un danno alla loro credibilità nel breve periodo, è un rischio che dovrebbero essere disposti a correre”.

Quindi gli errori vanno corretti il più rapidamente possibile e in modo chiaro e diretto, come raccomandava giustamente anche David Randall nel suo saggio Il giornalista quasi perfetto.

Che aggiungeva: “C’era un giornale che non commetteva errori. Sembra l’inizio di una favola e lo è”. ◆

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