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Il pugno di ferro di Al Sisi contro la libertà di espressione

È entrata in vigore in Egitto una nuova legge antiterrorismo, voluta dal presidente Abdel Fattah al Sisi, che secondo molti osservatori internazionali è un tentativo del governo di reprimere la libertà di espressione e di dissenso.

Secondo la nuova legge:

  • I processi nei confronti di sospetti militanti islamici dovranno essere rapidamente portati davanti a tribunali appositi.
  • Creare o formare un gruppo terrorista potrà essere punito con la pena di morte o l’ergastolo. Chi sarà giudicato colpevole di aver aderito potrà essere condannato a dieci anni di carcere.
  • Chi finanzia un gruppo terrorista può essere condannato all’ergastolo.
  • Incitare alla violenza o creare siti web sospettati di diffondere messaggi terroristici potrà essere punito con il carcere da cinque a sette anni.
  • I giornalisti potranno ricevere multe dalle 200mila alle 500mila sterline egiziane (22mila-57mila euro) per aver contraddetto le versioni ufficiali sugli attacchi delle milizie islamiche.
  • Ai militari e ai poliziotti viene garantita una difesa legale in caso di denunce legate all’uso della forza “mentre sono nell’esercizio della loro missione”.

Secondo il Committee to protect journalists, sono almeno 22 i giornalisti in carcere in Egitto: la maggior parte è accusata di appartenere o appoggiare l’attività dei Fratelli musulmani. Tra loro c’è il fotografo freelance Mahmoud Abou Zeid, detto Shawkan, che si trova in prigione da due anni senza processo. Il 17 agosto avrebbe dovuto tenersi la prima udienza, ma è stata di nuovo rimandata.

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