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Chi sono i protagonisti dei negoziati di Vienna sulla Siria

Il segretario di stato statunitense John Kerry (sulla sinistra) ricevuto dal ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz al suo arrivo all’hotel Imperial di Vienna, il 29 ottobre 2015. (Brendan Smialowski, Afp)

Cominciano oggi a Vienna i colloqui internazionali sulla Siria, a cui partecipa per la prima volta anche l’Iran. In serata è prevista una riunione tra i ministri degli esteri di Russia, Stati Uniti, Turchia e Arabia Saudita, a cui domani si uniranno i responsabili delle diplomazie di Francia, Iran, Egitto, Iraq e Libano. Sarà presente anche l’alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini. Chi sono i principali protagonisti che influenzano la crisi.

Russia
Mosca appoggia il regime di Bashar al Assad e ha sempre sostenuto che i suoi bombardamenti in Siria – cominciati alla fine del settembre scorso – avessero come obiettivo solo le basi del gruppo Stato islamico. Le autorità russe sono poi state costrette ad ammettere di aver attaccato anche altri gruppi ribelli, jihadisti e non, che contendono ad Assad il controllo delle zone ancora sotto il controllo governativo, soprattutto nell’ovest. Tra questi, ci sono le milizie dell’Esercito siriano libero, in parte equipaggiate e addestrate dagli Stati Uniti. Nelle ultime settimane la Russia ha rafforzato la sua presenza nella base militare di Latakia, una città costiera siriana sotto il controllo di Assad. Finora il presidente Vladimir Putin ha sempre sostenuto la necessità di coinvolgere Assad nel futuro politico del paese, ma ultimamente diverse voci del governo hanno espresso la consapevolezza dell’impossibilità di ristabilire lo status quo.

Stati Uniti
Washington si oppone al regime siriano ma finora ha preso solo limitate iniziative per favorirne la caduta. Di recente, l’amministrazione statunitense ha anche fatto sapere che è disposta a prendere in considerazione il coinvolgimento di Assad nel futuro processo di transizione politica. Un programma da 500 milioni di dollari con cui il Pentagono era riuscito a formare solo poche decine di ribelli è stato interrotto all’inizio del mese. Gli Stati Uniti restano alla guida della coalizione internazionale che in Siria bombarda obiettivi dello Stato islamico e, più raramente, del Fronte al Nusra legato ad Al Qaeda, oltre a sostenere le forze curde che combattono contro i jihadista nel nord. Della coalizione fanno parte anche Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, da fine agosto, anche Turchia.

Turchia
La Turchia si oppone con forza ad Assad e ha denunciato più volte incursioni russe nel proprio spazio aereo. Ankara appoggia i ribelli moderati e jihadisti, compreso il Fronte al Nusra che Washington considera un gruppo terrorista. Per molto tempo la Turchia, che è un membro della Nato, è stata accusata di permettere il passaggio di jihadisti attraverso il suo confine con la Siria, ai danni dei combattenti curdi. Poi ha aperto le sue basi alla coalizione internazionale che bombarda lo Stato islamico e ha cominciato a partecipare ai raid aerei. Nel frattempo il presidente Recep Tayyip Erdoğan porta avanti la sua guerra contro le basi dei guerriglieri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel nord della Siria.

Iran
Da decenni è l’unico alleato in Medio Oriente del regime di Bashar al Assad. Dall’inizio della guerra, nel 2011, manda soldi, armi e consiglieri militari al governo siriano. Nella primavera di quest’anno ha combattuto attivamente il gruppo Stato islamico in Iraq a fianco dell’esercito iracheno, ma senza un reale coordinamento con la coalizione guidata dagli Stati Uniti. In Siria ha agito soprattutto attraverso le milizie di Hezbollah, gruppo sciita libanese che si oppone tradizionalmente a Israele. Le autorità della Repubblica islamica hanno sostenuto ufficialmente la necessità di una soluzione politica della crisi, ma a differenza della Russia non hanno mai accettato l’ipotesi di una transizione che escluda Assad, tesi che era stata sostenuta con una certa ambiguità nelle conclusioni della conferenza di Ginevra del giugno 2012.

Arabia Saudita
Insiste che qualsiasi soluzione politica alla crisi debba passare per la fine dell’attuale regime con la deposizione di Assad. Per questo sostiene numerosi gruppi dell’opposizione armata, sia jihadisti sia moderati. Partecipa alla coalizione internazionale contro il gruppo Stato islamico e si dice che abbia fornito missili anticarro ai ribelli che combattono nel nord, soprattutto a Idlib. Riyadh ha chiesto più volte l’imposizione di una no fly zone in Siria per proteggere la popolazione civile dai bombardamenti delle forze governative.

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