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La pista terroristica e gli altri sviluppi sul disastro aereo nel Sinai

I funerali di uno dei passeggeri dell’Airbus russo della Metrojet precipitato nel Sinai il 31 ottobre a San Pietroburgo, in Russia, il 5 novembre 2015. (Vasily Maximov, Afp/Getty Images)

A pochi giorni dal disastro aereo nel Sinai, dove il 31 ottobre un Airbus della compagnia russa Metrojet Kogalymavia è precipitato uccidendo 224 persone, la tesi dell’attentato di matrice jihadista è difesa sia dal governo britannico sia da diverse fonti statunitensi, mentre le autorità russe ed egiziane la smentiscono. All’indomani della decisione del premier David Cameron di sospendere i collegamenti aerei tra il Regno Unito e Sharm el Sheikh, lo stesso Cameron ha incontrato a Downing street il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi per discutere della futura cooperazione in materia di sicurezza.

I voli interrotti. Tutti i voli tra il Regno Unito e la località turistica di Sharm el Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai, sono stati sospesi perché il governo britannico ritiene che ci siano fondati motivi per imputare l’esplosione dell’Airbus 321 a una bomba piazzata da terroristi. In un’intervista radiofonica il ministro degli esteri britannico Philip Hammond ha sostenuto che, in base alle informazioni raccolte dall’intelligence, c’è la “significativa possibilità” che l’aereo sia caduto a causa di una bomba esplosa durante il volo. Come misura precauzionale hanno sospeso i collegamenti con Sharm anche Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Ucraina e le linee aeree EasyJet e Lufthansa.

I rimpatri. Il governo britannico ha fatto sapere che i circa ventimila cittadini britannici che si trovano al momento in Sinai saranno rimpatriati con voli di emergenza da Sharm el Sheikh, a partire da venerdì 6 novembre. Per organizzare l’“operazione di salvataggio”, Cameron ha convocato una seconda riunione del comitato di sicurezza Cobra (dopo quella del 4 novembre) con l’obiettivo di stabilire le modalità di rientro dei turisti britannici.

Il vertice. La polizia britannica è dovuta intervenire per sgomberare un gruppo di attivisti che bloccava l’ingresso alla residenza londinese del primo ministro, dove è in corso la riunione tra Cameron e Al Sisi. I manifestanti protestano contro le violazioni dei diritti umani commesse in Egitto dopo il colpo di stato dell’estate 2013 con cui Al Sisi si è insediato al potere.

Russia, Egitto e Stati Uniti

La versione di Mosca. Il Cremlino ha definito “congetture” le tesi avanzate dal Regno Unito e dagli Stati Uniti sulla matrice terroristica del disastro aereo. “Qualunque versione di quello che è accaduto e dei motivi per cui è accaduto può essere avanzata solo dall’inchiesta e per ora non abbiamo sentito alcun annuncio dall’inchiesta, qualunque altra spiegazione sembra al momento un’informazione non verificata o una specie di congettura”, ha dichiarato ai giornalisti il portavoce della presidenza russa Dmitri Peskov.

Il presidente della commissione esteri del senato russo, Konstantin Kosachev, ha sostenuto che la decisione unilaterale di Londra di chiudere le rotte con il Sinai abbia l’obiettivo di esercitare una “pressione psicologica” sulla Russia per il suo impegno militare in Siria.

La versione del Cairo. L’Egitto continua a smentire l’ipotesi di un attentato. Nel giorno della riunione a Londra tra Cameron e Al Sisi, il ministero degli esteri egiziano ha criticato il Regno Unito per non aver comunicato al Cairo la decisione di interrompere i voli con il Sinai: un portavoce ha sostenuto che si è trattato di una scelta presa a livello unilaterale, nonostante negli ultimi giorni fossero in corso contatti ad alto livello tra i due paesi e l’Egitto avesse rafforzato le misure di sicurezza all’aeroporto internazionale di Sharm, anche in risposta alle preoccupazioni britanniche.

Il portavoce ha riferito che il ministro egiziano Sameh Shukri ha discusso della questione con il segretario di stato statunitense John Kerry, il quale avrebbe “affermato che le notizie diffuse dai media su affermazioni statunitensi che riguardano i motivi del disastro aereo non rappresentano la posizione dell’amministrazione statunitense, che non ha mai diffuso dichiarazioni ufficiali al riguardo”.

L’intelligence statunitense. Secondo fonti anonime dei servizi segreti di Washington, citate dai media statunitensi, diversi indizi confermerebbero l’ipotesi che l’aereo sia stato fatto esplodere dal gruppo Stato islamico o da qualche affiliato. Secondo queste fonti – che comunque hanno sottolineato che le indagini sono in corso e per il momento le autorità statunitensi non hanno ricevuto le prove dagli inquirenti – è probabile che qualcuno all’aeroporto di Sharm el Sheikh abbia aiutato a piazzare l’ordigno, probabilmente dentro una valigia, sull’aereo russo esploso poco dopo il decollo, a un’altezza di circa 10mila metri.

Le rivendicazioni. Un gruppo affiliato allo Stato islamico nel Sinai ha rivendicato la responsabilità della strage, accusando il presidente russo Vladimir Putin per gli attacchi aerei contro i ribelli in Siria.

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