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Sei variabili per misurare la corruzione in Europa

Il Partenone ad Atene, in Grecia, il 3 maggio 2015. (Kostas Tsironis, Bloomberg/Getty Images)

Uno degli elementi all’origine della crisi della politica in molti paesi occidentali è la mancanza di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle persone che le rappresentano. Una mancanza di fiducia spesso indotta dalla percezione che le istituzioni e la pubblica amministrazione siano opache, inefficienti e corrotte, e che è inversamente proporzionale all’integrità percepita della pubblica amministrazione. Più si percepisce che un’amministrazione esercita la sua autorità in modo imparziale ed equo, più alta è la fiducia dei cittadini nello stato.

In Europa siamo abituati a considerarci come dei campioni della good governance, eppure, come indicano le classifiche di organizzazioni come Transparency international, questa immagine tende ad appannarsi, soprattutto da quando è cominciata la crisi finanziaria globale.

La sfiducia nell’integrità delle istituzioni e di chi le incarna riflette il modo in cui gli europei percepiscono un declino nella qualità del buon governo e dell’inefficacia delle politiche messe in atto per invertire il fenomeno. Secondo l’ultimo rapporto anticorruzione della Commissione europea tre quarti degli europei ritengono che la corruzione e le relazioni personali sono “spesso” il modo più semplice per ottenere determinati servizi da parte della pubblica amministrazione nel loro paese.

Meno di un quarto degli europei considera che gli sforzi del governo per affrontare la corruzione siano efficaci. I paesi nei quali i cittadini percepiscono una maggiore onestà e una governance migliore sono quelli che sono riusciti a preservare alti livelli di fiducia nel governo malgrado la crisi economica.

Le classifiche realizzate finora dai vari istituti che si interessano alla questione si basano sulla percezione che gli intervistati hanno della corruzione e del buongoverno. Ma questa percezione corrisponde alla realtà? Non sempre, anche se si avvicina molto, come rivela il primo studio compiuto in Europa con criteri oggettivi.

Realizzato dai ricercatori del progetto europeo anticorruzione Anticorrp, guidati dalla professoressa Alina Mungiu-Pippidi dell’Hertie school of governance di Berlino, lo studio è stato presentato ufficialmente il 21 gennaio dal governo dei Paesi Bassi.

Si fonda sul nuovo Indice di integrità pubblica di Transparency international, basato sui sei indicatori di trasparenza: la semplicità amministrativa (il tempo per registrare un’azienda e pagare le tasse); l’apertura del mercato sia per l’import sia per l’export; l’efficienza delle procedure di revisione; la capacità giudiziaria; i servizi online offerti dal governo e quelli usati dalla popolazione.

La struttura dell’indicatore della trasparenza consente di fare paragoni all’interno dell’indice da un anno all’altro, cosa che non potrebbe essere fatta con gli indicatori basati sulle percezioni dei cittadini.

La struttura dell’indicatore consente anche di renderlo sensibile alle riforme politiche, altra lacuna degli indici basati sulla percezione che, come è noto, non tengono il passo con la realtà. Come spiega lo studio, “la fiducia nel governo e nelle istituzioni politiche è soggettiva per definizione, e la corruzione è un fenomeno informale e in parte invisibile, per cui fare uno studio oggettivo del modo in cui corruzione e fiducia sono legati e si sono evoluti prima che cominciasse la crisi è una vera sfida”. Per esempio, la Grecia è stata classificata come paese molto corrotto solo quando la crisi dell’euro è diventata di dominio pubblico, mentre si ritiene che sia proprio la corruzione ad aver reso la crisi così grave.

Lo studio contiene numerose tabelle sull’evoluzione della percezione della corruzione e su quella della fiducia nelle istituzioni nazionali ed europee, e rivela una relazione tra il fenomeno e l’astensionismo durante le elezioni: più grande è la sfiducia, minore è la partecipazione. Paradossalmente quindi i cittadini tendono a rinunciare a cambiare le istituzioni delle quali non si fidano anziché mobilitarsi per cambiarne i rappresentanti.

Allo stesso modo, si scopre che più un paese ha introdotto limiti al finanziamento dei partiti, meno è in grado di limitare la corruzione: la Grecia ha per esempio “una regolamentazione molto rigorosa del finanziamento dei partiti, ma dei risultati bassissimi in tema di lotta alla corruzione. Sul versante opposto, i Paesi Bassi e la Danimarca hanno regolamentazioni molto deboli ma una corruzione molto bassa”. Parimenti si scopre che i paesi meno corrotti sono quelli dove sono maggiori la disponibilità e l’uso di servizi di e-government – la pubblica amministrazione online.

Una delle conclusioni del rapporto è che “i paesi che hanno i risultati migliori in materia di fiducia e integrità sono quelli che hanno meno leggi, con le pratiche più snelle e con la società civile e i mezzi d’informazione più critici”.

Per quanto riguarda la graduatoria, illustrata nella tabella qui sotto, si vedono i paesi scandinavi e i Paesi Bassi saldamente ai primi posti, mentre Bulgaria, Romania e Croazia si contendono l’ultima posizione. L’Italia guida l’ultimo quarto della graduatoria, ma è migliorata negli anni. L’indice è relativo al 2012 e al 2014, e si basa sugli ultimi dati disponibili.

Nel tempo si è osservata una tendenza positiva per la Romania (che ha scavalcato la Bulgaria dopo essere stata all’ultimo posto fino al 2012) e per la Grecia. Dal punto di vista della tendenza il paese ellenico ha fatto registrare i progressi più notevoli negli ultimi anni, insieme a Lettonia e Lituania. Malta, la Svezia e la Slovenia sono peggiorati, come si può vedere nel grafico qui sotto.

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