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Cos’è il burkini e perché se ne parla

Una bagnina in burkini su una spiaggia di Sydney, in Australia. (Matt King, Getty Images)

Il burkini è al centro di varie polemiche estive in Francia. Il 9 agosto, vicino a Marsiglia, un evento privato organizzato in un parco acquatico, e nel quale le donne erano invitate a indossare questo costume da bagno che copre il corpo e la testa, è stato annullato in seguito alle polemiche.

Qualche giorno dopo, un’ordinanza municipale che a Cannes (regione Alpi-Marittime) vietava d’indossare abiti religiosi in spiaggia ha scatenato una battaglia giuridica tra il Collettivo contro l’islamofobia in Francia (Ccif) e il comune. Infine, una simile decisione è stata presa il 15 agosto dal sindaco di Sisco (Alta Corsica), dopo una rissa scoppiata su una spiaggia della cittadina.

Come e quando questo capo d’abbigliamento è apparso nelle piscine e nelle spiagge di tutto il mondo? Come viene percepito in altre parti del pianeta? Da dove viene il nome burkini? Ecco alcune informazioni che aiutano a capire.

Una tenuta inventata in Australia

La creazione di questa tenuta è attribuita ad Aheda Zanetti, un’australiana di origine libanese. Zanetti racconta di avere avuto l’idea nel 2004 a Sydney, osservando sua nipote che giocava a netball (una variante con sette giocatori della pallacanestro). A suo avviso, la ragazzina era in difficoltà con il suo lungo hijab (il velo che copre la parte superiore del corpo) e la tuta. “Avevo fatto alcune ricerche e non avevo trovato nessuna tenuta adatta alle donne che fossero sportive ma anche pudiche”, racconta a Le Monde.

L’australiana ha immaginato allora l’hijood, contrazione di hijab e hood (cappuccio in inglese), una tuta conforme al “pudore” religioso. L’idea del burkini, destinato a quante fino ad allora facevano il bagno velate, le è venuta in seguito, visto che vive in un paese dove gli sport acquatici sono onnipresenti.

Marchio registrato

Aheda Zanetti crea quindi la sua società, Ahiida, registra il design dei suoi prodotti nel 2004 e comincia a commercializzarli. Nel 2006 deposita anche i marchi “burkini” e “burqini” in Australia e in vari altri paesi.

La maggior parte dei marchi registrati legati ai nomi “burkini” e “burqini” che Le Monde è riuscito a reperire fanno capo alla società Ahiida Pty Ltd.

Anche se la creatrice sostiene che nel momento in cui s’è lanciata in questa attività aveva in mente la comodità delle donne che indossano il velo, il burkini si è rivelato anche un ottimo affare commerciale. La domanda è rapidamente cresciuta, afferma l’imprenditrice, secondo la quale in una decina d’anni sono stati venduti “oltre cinquecentomila costumi”. Nel 2016 le vendite sarebbero cresciute del 40 per cento.

A prova dell’attrattiva generata da questo mercato, molte aziende hanno seguito la strada di Ahiid, compresi alcuni importanti nomi non specializzati in moda islamica, come Marks & Spencer. Su scala mondiale, i consumatori musulmani hanno speso nel 2013 266 miliardi di dollari (236 miliardi di euro) in “vestiti e calzature”, secondo uno studio di Thomson Reuters.

Aheda Zanetti peraltro non si limita ai vestiti destinati alla comunità musulmana. La sua società propone anche dei modelli simili al burkini ma che non coprono i capelli, per le donne che vogliono semplicemente proteggersi dal sole.

Perché burkini?

Come spiega Aheda Zanetti sul sito, è stata la stessa inventrice del burkini ad adottare il termine, fusione delle parole burqa e bikini. Una scelta che ha lo svantaggio di essere ingannevole. Il burqa, vestito imposto dai taliban afgani, copre infatti la totalità del corpo e del viso, lasciando semplicemente un lembo o una “griglia” di tessuto per permettere di vedere.

Il burkini, nonostante il nome, lascia invece il volto scoperto. Nelle sue forme meno larghe somiglia semmai a un semplice hijab combinato con un costume a due pezzi. Le sue versioni larghe somigliano invece a un jilbab, che copre il resto del corpo. Si potrebbe quindi parlare di “jilbab da bagno”.

Aheda Zanetti contesta una simile presentazione. Secondo lei “un burqa non copre il viso. Quello è il niqab” (ma secondo la maggior parte delle definizioni attuali, sia francesi sia anglosassoni, entrambi i capi d’abbigliamento coprono il viso). “Mi sono detta: il nostro costume da bagno è più leggero di un burqa e ha due pezzi come un bikini, e quindi l’ho chiamato burkini. Si tratta semplicemente di un termine che ho inventato per dare un nome al mio prodotto”.

Anche l’assonanza con il termine bikini può suscitare qualche dubbio, poiché quest’ultimo è stato inventato, al contrario, per scoprire il corpo. Ma l’utilizzo del suffisso -kini non è assurdo. Quest’ultimo viene infatti utilizzato in molti nomi di costumi da bagno e non necessariamente tra i più arditi, dal monokini al facekini.

Il burkini è illegale in Francia?

Dal momento che lascia il viso scoperto, questa tenuta non infrange la legge sul velo integrale nei luoghi pubblici. Il suo carattere religioso non potrebbe, da solo, giustificarne il divieto, come ha ricordato su radio Europe 1 Jean-Pierre Chevènement, in lista per prendere la guida della Fondazione per l’islam francese: “Le persone sono libere di fare il bagno con il costume o meno. Io sono a favore della libertà, a meno che non ci siano necessità di ordine pubblico”.

Il concetto di “pericolo per l’ordine pubblico” è comunque stato invocato da alcuni sindaci, come quello di Cannes, per giustificarne il divieto. Il decreto municipale della città afferma in particolare: “Un costume da bagno che richiama in maniera ostensibile un’appartenenza religiosa, quando la Francia e i luoghi di culto religioso sono attualmente bersaglio di attentati terroristici, è tale da creare pericoli per l’ordine pubblico che è necessario evitare”.

Questo testo è stato convalidato dal tribunale amministrativo, ma è probabile che questa decisione non segni la fine del dibattito giuridico sul burkini in Francia, dal momento che sono in corso altre procedure.

Il burkini può anche essere vietato in edifici pubblici e privati per motivi igienici. Alcuni ritengono che, anche se usato per il nuoto, il costume può essere indossato fuori dall’acqua e quindi non è ammesso, come accade per i pantaloncini da bagno. Vari casi del genere sono stati evocati dalla stampa, per esempio a Douai (regione Nord) nel 2011 o a Emerainville (Seine-et-Marne) nel 2009. Difficile, tuttavia, applicare lo stesso ragionamento alle spiagge.

Un’eccezione francese?

Altre polemiche simili a quelle osservate in Francia sono esplose negli ultimi anni con l’arrivo del burkini nelle spiagge e nelle piscine. Il suo divieto ha scatenato discussioni a Charleroi (Belgio), a Costanza (Germania) oppure in alcuni alberghi del Marocco. In Spagna, il quotidiano El País sostiene che la polemica ha ormai varcato le frontiere.

Sarebbe dunque riduttivo presentare il dibattito sul burkini come esclusivamente francese. Tuttavia le dimensioni assunte quest’estate dalla diatriba hanno provocato alcuni commenti polemici sulla stampa internazionale. “Le autorità dovranno imparare a cogliere le differenze”, ironizza la Bbc, che mostra, una accanto all’altra, le foto di una donna in burkini e quella di un uomo in tenuta da immersione. “La Francia individua la nuova minaccia alla sua sicurezza: il burkini”, rincara l’edizione internazionale del New York Times.

La creatrice della tenuta al centro delle polemiche, Aheda Zanetti, respinge seccamente le critiche: “Mi piacerebbe porre una domanda: i sindaci e i politici francesi vogliono bandire il burkini, o semplicemente tutti i musulmani? Il burkini è il benvenuto in Australia e non importa che siate musulmano, cristiano, indù, ebreo o che altro. Siete tutti i benvenuti qui”.

Alla domanda se abbia avuto problemi o ricevuto minacce, Zanetti replica: “No. A dire il vero, anzi, le vendite sono aumentate. Grazie”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano francese Le Monde.

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