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Cosa prevede la riforma della giustizia e perché farla ora

Roma, 3 aprile 2020. Il palazzo di giustizia, sede della Corte di cassazione. (Augusto Casasoli, A3/Contrasto)

Il 23 settembre il senato ha approvato il disegno di legge per la riforma del processo penale, con 177 voti a favore e 24 contrari. Già approvato dalla camera dei deputati dopo una lunga trattativa, il testo, ora diventato legge, conferisce una serie di deleghe al governo per rendere più efficiente il processo penale in termini di rapidità, semplificazione, di risorse umane e digitalizzazione. Il 21 settembre anche il ddl per la riforma del processo civile ha ottenuto una larga maggioranza in senato: con 201 sì e 30 no, ora il provvedimento è passato alla camera.

I progetti di riforma, su cui il governo ha posto la questione di fiducia, sono due condizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Al centro c’è l’eccessiva durata dei processi: l’Italia infatti è stata più volte ammonita dalle istituzioni europee per la “scarsa efficienza” del sistema giudiziario. Il Pnrr mira a ridurre in cinque anni del 25 per cento i tempi della giustizia penale e del 40 per cento quelli della giustizia civile.

“Sulla durata dei processi il governo si gioca tutto il Recovery fund, non solo la parte legata alla giustizia”, aveva avvertito la ministra della giustizia Marta Cartabia alla camera lo scorso 10 maggio, riferendosi agli oltre 190 miliardi di euro che la Commissione europea ha destinato all’Italia.

La riforma del processo penale

La riforma del processo penale ha creato molti attriti nella maggioranza, soprattutto in tema di prescrizione, cioè il lasso di tempo, fissato dalla legge, dopo il quale un reato non può più essere perseguito

Il disegno di legge divide in due fasi il processo. Nella prima fase, che va dalle indagini preliminari alla sentenza di primo grado, decorre la cosiddetta prescrizione sostanziale (che estingue il reato), cioè quella calcolata sulla base della pena del reato per cui si indaga. Dopo la sentenza di primo grado, che sia di condanna o di assoluzione, il calcolo della prescrizione si blocca. Questa parte è rimasta invariata dalla precedente riforma Bonafede. Nella seconda fase, che va dall’inizio del processo di appello fino alla sentenza di cassazione, viene introdotta invece la cosiddetta prescrizione processuale (che estingue il processo). Ovvero, l’estinzione del processo una volta decorso un tempo prefissato per legge per il grado d’appello e per quello di cassazione, uguale per tutti i reati.

La riforma sarà graduale: fino al 2024 il processo d’appello potrà durare fino a tre anni con possibilità di proroga fino a quattro; il processo di cassazione un anno e mezzo con proroga fino a due. A partire dal 1 gennaio 2025 il termine della prescrizione processuale sarà di due anni per i procedimenti in appello e di un anno per quelli giunti in cassazione, entrambi prorogabili su decisione motivata del giudice.

Dalla prescrizione sono esclusi i reati puniti con l’ergastolo. Per i reati gravi è previsto un regime di eccezione, con possibilità di proroga senza limiti di tempo. Tra questi, mafia, terrorismo, violenza sessuale e associazione finalizzata al traffico di droga. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, avvisa che “quando il legislatore procede per elenchi di reati c’è sempre il rischio di dimenticarne qualcuno”. Anche Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, ha criticato l’esclusione dal regime di eccezione dei reati ambientali, della corruzione e della concussione.

Di fronte alle critiche, la ministra Cartabia ha precisato che “la riforma va letta nel suo complesso”. La norma che introduce i termini di prescrizione, al termine dei quali si ha quindi l’estinzione del processo, secondo la ministra, è solo un tassello di una riforma più ampia finalizzata a rendere più efficiente tutto il sistema, attraverso la digitalizzazione, il potenziamento del processo telematico, l’istituzione di tempi definiti per le indagini preliminari, l’adozione di sanzioni sostitutive e il ricorso alla giustizia riparativa.

La riforma del processo civile

Anche la riforma del processo civile mira a velocizzare l’iter introducendo diversi strumenti. La prima udienza non sarà più solo un passaggio burocratico ma la causa sarà esaminata nel merito fin dal principio. Un’altra novità della riforma del processo civile è l’introduzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, un tribunale unico che sostituirà i tribunali per i minorenni e le sezioni di famiglia dei tribunali ordinari. L’obiettivo è uniformare la materia, oggi trattata in procedimenti distinti che producono una dispersione di risorse e di tempi. Il tribunale unico si occuperà di affidi, responsabilità genitoriale, adozioni e avrà funzioni penali e di sorveglianza. Vengono inoltre potenziati i metodi alternativi di risoluzione delle controversie (mediazione, arbitrato e negoziazione), introdotte nuove tutele per le donne che subiscono violenza e semplificati i giudizi in materia di lavoro.

Non sono mancate critiche da parte dei professionisti in ambito giudiziario. L’obiettivo di ridurre i tempi del 40 per cento è stato giudicato dall’Associazione nazionale magistrati “non realistico”.

Entrambe le riforme prevedono l’assunzione di personale che affianchi i giudici e costituisca l’ufficio del processo, figure temporanee per smaltire procedimenti arretrati. Parte della magistratura ritiene la riforma insufficiente, perché le risorse umane saranno “destinate a disperdersi nell’arco di pochi anni”.

Qualche numero sui processi in Italia

L’Italia è il paese che conta il più alto numero di condanne (1.202) per violazione del principio della ragionevole durata del processo, dal 1959, anno di fondazione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Seguono Turchia (608) e Grecia (542).

La durata media del processo civile in Italia è di sette anni e tre mesi. Il processo penale invece nel 2019 durava, dalle indagini alla sentenza di cassazione, in media 4 anni e 4 mesi, ma i tempi variano molto in base al distretto di Corte d’appello. Secondo i dati del ministero, la durata del secondo grado è in media di 835 giorni, a Firenze è di circa 745 giorni, a Napoli di 2.031. Anche Bari, Bologna, Venezia, Roma, Catania e Reggio Calabria superano i due anni, ma le rimanenti corti d’appello, come quelle di Catanzaro e di Milano, non eccedono i 730 giorni, rispettando quindi il termine imposto dalla nuova riforma.

I procedimenti penali pendenti, quindi non conclusi, alla fine del 2020 erano 1.631.138, il 3,1 per cento in più rispetto ai dati dell’anno precedente. L’arretrato civile invece alla fine del 2020 contava più di 500mila procedimenti pendenti.

A cura di Marika Ikonomu

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