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Negli Stati Uniti il peggio è in arrivo e il governo è impreparato

New York, 25 marzo 2020. (Mary Altaffer, Ap/Lapresse)

Il 26 marzo Donald Trump stava tenendo una conferenza stampa alla Casa Bianca quando è arrivata la notizia che gli Stati Uniti sono balzati in cima alla lista dei paesi con il maggior numero di contagiati dal nuovo coronavirus, superando la Cina e l’Italia. Al momento, secondo il New York Times, sono almeno 85mila le persone contagiate, un dato destinato a crescere visto che da qualche giorno il numero di casi e di decessi ha cominciato ad aumentare in modo esponenziale e stanno arrivando notizie allarmanti da tante parti del paese.

La reazione di Trump, durante la conferenza stampa, è stata di mettere in discussione le statistiche fornite dagli altri paesi. “Questi numeri”, ha detto, “sono dovuti alla quantità di test che stiamo conducendo. Non so se possiamo essere sicuri del fatto che la Cina stia facendo dei test oppure no. Credo sia difficile”. Le sue parole hanno sorpreso e allarmato la comunità scientifica, già preoccupata dal fatto che il presidente, nonostante lo stato d’emergenza e le misure eccezionali messe in atto dalla sua amministrazione, continui a sottovalutare la gravità della situazione.

L’eventualità che gli Stati Uniti potessero diventare il paese con più contagi era prevista: il 24 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) aveva avvertito che il paese sarebbe potuto presto diventare l’epicentro della pandemia. Trump ha praticamente ignorato l’avvertimento, e ha detto di auspicare la fine delle misure di distanziamento sociale entro Pasqua, facendo capire che la sua priorità è far ripartire l’economia il prima possibile.

Carenze enormi
I racconti che arrivano dagli amministratori e dai cittadini raccontano una realtà parallela rispetto a quella in cui sembra muoversi Trump. A New York, dove è stata registrata la metà dei casi statunitensi, gli ospedali denunciano da giorni la carenza di respiratori, mascherine e tamponi per i test. “Ogni scenario realistico ci dice che il nostro sistema sanitario non riuscirà a reggere il colpo”, ha detto il governatore dello stato Andrew Cuomo in una conferenza stampa. Inoltre ha definito “astronomica” la carenza di respiratori: “Non abbiamo scorte a disposizione”.

Quanto ai posti letto, Cuomo ha spiegato che l’obiettivo è passare rapidamente dall’attuale disponibilità di 53mila a 140mila attraverso la creazione di ospedali da campo. A proposito dei respiratori, il governatore ha detto che il suo stato avrà bisogno di almeno 30mila unità per fronteggiare l’aumento dei ricoverati delle prossime settimane. In un’intervista a Fox News, Trump ha risposto così: “Ho la sensazione che i numeri che vengono dati in alcune zone siano più grandi di come saranno in realtà. Non credo che abbiano bisogno di 30mila o 40mila respiratori. A volte vai in degli ospedali importanti e vedi che ne hanno solo due, e ora all’improvviso dicono ‘ordiniamone trentamila’”.

Nella stessa intervista Trump ha fatto tante altre dichiarazioni surreali e preoccupanti. Ha detto, per esempio, che quando gli Stati Uniti hanno bloccato i voli provenienti dalla Cina “molte persone hanno deciso di andare in Italia e in Spagna, e ora guarda che problemi hanno quei paesi”. Inoltre ha di nuovo dato la colpa della situazione alle precedenti amministrazioni: “Abbiamo ereditato un sistema guasto”. In realtà molti esperti di sanità ed economisti sostengono che negli ultimi tre anni Trump abbia indebolito la capacità del sistema sanitario di reagire a una crisi come quella in corso. Infine il presidente ha detto che gli Stati Uniti hanno condotto più test di qualsiasi altro paese. È vero, ma gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti, l’Italia e la Corea del Sud ne hanno rispettivamente 60 e 50 milioni. Se si prendono in considerazione i test condotti ogni 100mila persone, gli Stati Uniti sono molto indietro rispetto agli altri due paesi.

C’è preoccupazione per quelle zone degli Stati Uniti dove le condizioni di salute e l’aspettativa di vita sono più basse che nel resto del paese

Intanto arrivano notizie di nuovi focolai e decessi in altre aree, dove spesso le strutture sanitarie sono meno efficienti e moderne rispetto a quelle di New York. La situazione più preoccupante è quella della Louisiana, uno degli stati più poveri, che negli ultimi anni è stato messo in ginocchio da uragani e disastri naturali. A quanto pare qui il virus si è diffuso principalmente durante i festeggiamenti per il martedì grasso. La Reuters riporta le parole del governatore John Bel Edwards, secondo cui lo stato rischia di finire senza respiratori il 2 aprile e senza posti letto per i contagiati entro il 7 aprile.

Attualmente in Louisiana circa l’80 per cento dei pazienti in terapia intensiva ha bisogno del sostegno delle macchine per respirare, una percentuale doppia rispetto a una situazione normale. In tutto lo stato gli ospedali denunciano la carenza di strumenti basilari come mascherine e guanti. In alcuni casi medici e infermieri riciclano vecchie mascherine o le costruiscono da soli usando, per esempio, sacchetti della spazzatura.

Scambio di favori
Preoccupazioni arrivano anche da quelle zone del paese dove da molti anni l’aspettativa di vita è più bassa che altrove, per esempio città come Detroit, nel Michigan, colpita duramente dal declino dei settori industriali e dalla crisi economica del 2008. O come il West Virginia, lo stato più povero, dove una percentuale importante della popolazione soffre di malattie respiratorie causate dal lavoro nelle miniere.

Di fronte alle richieste di aiuto, Trump ha prima detto ai governatori statali di cavarsela da soli, poi ha spiegato che per ricevere l’aiuto del governo federale devono smetterla di attaccare la sua amministrazione: “Le cose vanno bene con quasi tutti i governatori, credo. Ma è uno scambio reciproco: devono trattarci bene”.

Notizie allarmanti arrivano anche dalle prigioni – gli Stati Uniti sono il paese con più detenuti, circa 2,3 milioni –, dove le autorità penitenziarie non sembrano in grado di gestire la situazione e dai centri di detenzione per immigrati: il 23 marzo ProPublica ha raccontato che i migranti rinchiusi in una struttura del New Jersey stavano per protestare per chiedere di ricevere più sapone (attualmente lo ricevono solo una volta a settimana e se ne vogliono altro devono comprarlo).

Il 26 marzo sono stati pubblicati i dati del dipartimento del lavoro, secondo cui nell’ultima settimana 3,3 milioni di statunitensi hanno fatto richiesta per i sussidi di disoccupazione, un record assoluto nella storia del paese. Un dato che gli esperti interpretano come il segnale di un’imminente crisi economica senza precedenti. Secondo il dipartimento del lavoro, i settori più colpiti sono quelli dell’industria della ristorazione e dei fast food, nei quali generalmente i posti di lavoro sono poco tutelati e che in luoghi come New York rappresentano una fetta rilevante dell’economia. “Siamo di fronte a una crisi occupazionale catastrofica, paragonabile a quella della grande depressione degli anni venti”, ha detto al Guardian Andrew Stettner del centro studi Century foundation.

Per affrontare la situazione la Federal reserve, la banca centrale statunitense, ha proposto un piano per iniettare 1.500 miliardi di dollari sui mercati, e il congresso ha approvato una manovra da circa duemila miliardi di dollari, che tra le altre cose prevede assegni fino a 1.200 dollari per ogni adulto, sostegni per chi è rimasto senza lavoro, la sospensione delle rette universitarie, prestiti per i settori che rischiano di crollare (per esempio le compagnie aeree) e sussidi per le aziende in difficoltà.

Il 27 marzo il New York Times ha pubblicato un editoriale in cui critica la strategia del governo di offrire sussidi di disoccupazione senza proteggere i posti di lavoro, com’è stato fatto in Europa, a cominciare dalla Danimarca e dai Paesi Bassi. “Preservare i posti di lavoro è importante, anche perché negli Stati Uniti chi perde il lavoro perde anche l’assistenza sanitaria” e, una volta finita l’emergenza, farà fatica a trovare un nuovo impiego con un salario paragonabile a quello che aveva in precedenza.

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