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Il castello Rosso di Tripoli racconta una ribellione scomparsa dai libri di storia

La cerimonia di accreditamento per quattro nuovi ambasciatori al museo nazionale di Tripoli, il 10 novembre 2016. (Office of the government of national accord)

L’inviato speciale in Libia del presidente turco Emrullah Isler ha dichiarato durante una conferenza stampa il 4 novembre che “la Turchia sta progettando di riaprire presto la sua ambasciata a Tripoli, per testimoniare il suo sostegno alla Libia”. L’inviato ha inoltre dichiarato che il suo paese sta pensando di riprendere i voli di linea della Turkish Airlines diretti in Libia e che l’imposizione del visto turco ai viaggiatori libici sarà eliminato non appena la situazione della sicurezza migliorerà.

Il 10 novembre, una settimana dopo l’annuncio, si è svolta una cerimonia di accreditamento presso il museo nazionale di Tripoli, l’Assaraya al Hamra (castello Rosso), per quattro nuovi ambasciatori: Turchia, Austria, Canada e Yemen. Parlando con i giornalisti l’ambasciatore turco Ahmet Aydın Doğan ha dichiarato che la sua ambasciata a Tripoli avrebbe riaperto nel giro di due settimane.

L’ultima volta che l’Assaraya al Hamra era stato usato per uno scopo simile risale all’epoca ottomana. A rendere il ricordo ancora più forte è il fatto che la data dell’evento, il 10 novembre, coincide con l’anniversario della morte di Mustafa Kemal Atatürk.

All’origine del nome
Il Saray dà sulla piazza dei Martiri e resiste da più di cinquecento anni. Si dice che il nome risalga al periodo in cui l’edificio fu pitturato di rosso dopo le invasioni spagnole. Il termine Assaraya è la pronuncia araba della parola saray, un termine turco che deriva a sua volta dalla parola persiana saray, che significa “palazzo”. Gli ottomani usavano questa parola per indicare gli edifici governativi che possedevano in diversi luoghi dell’ex impero ottomano. L’Assaraya al Hamra era il complesso in cui risiedevano i governanti turchi della Tripolitania.

La storia dell’edificio risale a prima dell’occupazione ottomana: secondo alcune fonti, a fondare la struttura sarebbero stati i fenici. È però difficile tenere dietro alla nostra storia. La storia della Tripolitania è come il gioco delle sedie: dopo i fenici, subentrò la repubblica romana nel 146 avanti Cristo, poi i vandali nel 453 dopo Cristo, poi i bizantini nel 534. Poi i musulmani arabi conquistarono la città nel 643. Tutti hanno usato il Saray come principale punto di difesa della città. Poi la musica ha ricominciato a suonare il 25 luglio del 1510, quando gli Asburgo di Spagna invasero Tripoli. La città fu ceduta ai cavalieri di Malta nel 1528.

Con le torri e le mura di cinta costruite dai cavalieri, il castello occupa un’area di circa 13mila metri quadrati.

Il museo nazionale di Tripoli, l’Assaraya al Hamra.

Nel 1538 tutta la costa nordafricana era stata conquistata da un ammiraglio ottomano di nome Khair al Din, noto anche con il nome di Barbarossa. Sapete, il personaggio di Hector Barbossa, il capitano della Perla Nera del film Pirati dei Caraibi si è ispirato proprio a lui.

Quel tratto di costa nordafricana diventò noto con il nome di costa barbaresca. I pirati barbareschi e gli ottomani la dominarono per secoli. Gli ottomani commerciavano schiavi europei catturati nel corso di attacchi alle navi o raid nelle città costiere in Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Paesi Bassi. Era l’epoca d’oro dei pirati del Mediterraneo.

Il 14 agosto del 1551 la flotta ottomana giunse a Tripoli su richiesta della popolazione libica di religione musulmana che chiedeva di essere liberata dai cavalieri di Malta. In effetti liberarono la Tripolitania, ma non dimostrarono alcun desiderio di andarsene. Gli europei furono espulsi nel 1553 dal pirata turco Dragut, divenuto poi pasha della Tripolitania. Era un po’ come se aveste chiesto ai vostri vicini di aiutarvi a spegnere un incendio a casa vostra e loro, dopo avervi aiutato, si fossero rifiutati di andarsene sostenendo che la casa era la loro e che voi avreste dovuto anche pagare un affitto.

L’eroe dimenticato
Dopo la morte di Dragut, l’autorità amministrativa di Tripoli fu affidata a un pasha nominato dal sultano a Costantinopoli. Il Saray fu usato come complesso residenziale dai governanti nel primo periodo della dominazione ottomana, durato fino al 1711. Le mura e le torri furono corredate da cannoni e circondate da un fossato su tre lati e dal mare sul versante orientale. Il castello diventò la principale roccaforte degli ottomani in quest’area del Nordafrica.

Ahmed Karamanli uccise il governatore e conquistò il trono con un colpo di stato nel 1711. Riuscì a convincere gli ottomani a riconoscerlo come governatore. La Tripolitania continuò a rendere formalmente omaggio al padisha ottomano.

Il regno della dinastia karamanlide è durato dal 1711 al 1835. Il Saray divenne la residenza privata di pasha e delle loro famiglie. Le camere e i corridoi del forte furono testimoni di molte cospirazioni ordite per la conquista del potere, come l’assassinio di Hassan Bek per mano di suo fratello Yusuf Pasha il 7 luglio 1790. I pasha compirono massacri e assassini contro molti leader tribali e festeggiarono sempre le loro vittorie al castello con 24 salve di cannone.

Se Omar al Mokhtar avesse lottato contro i turchi invece che contro gli italiani, il suo status sarebbe stato lo stesso?

Il regno della dinastia karamanlide è durato dal 1711 al 1835. Il Saray divenne la residenza privata di pasha e delle loro famiglie. Le camere e i corridoi del forte furono testimoni di molte cospirazioni ordite per la conquista del potere, come l’assassinio di Hassan Bek per mano di suo fratello Yusuf Pasha il 7 luglio 1790. I pasha compirono massacri e assassini contro molti leader tribali e festeggiarono sempre le loro vittorie al castello con 24 salve di cannone.

Durante il secondo periodo ottomano, Sultan Mahmud II approfittò dei disordini locali per reclamare il controllo diretto della Tripolitania nel 1835, un’autorità durata fino al 1912. In quell’epoca ci furono molte rivoluzioni contro l’autorità turca. Le rivolte più famose furono quella guidata da Abdul Jalil nella regione centrale e meridionale e quella guidata da un leader straordinario che unificò tutte le tribù dell’area occidentale, Gomah al Mahmoudi. Poiché da anni desideravano la sua testa, quando alla fine fu ucciso i turchi spedirono la sua testa all’Assaraya al Hamra. Festeggiarono la vittoria e sciamarono per le strade mostrando la sua testa prima di appenderla alle mura del Saray. Quella vicenda ispirò un proverbio libico che viene recitato ancora oggi: per descrivere un compito difficile da svolgere diciamo che è come “portare la testa di Gomah”.

Gomah lottò contro i turchi dal 1835 al 1858, unificò le tribù occidentali e liberò l’area dalla Tunisia a Tripoli. Eppure è un eroe di cui si parla raramente. Non studiamo eroi come lui nei nostri libri di storia; non ci sono film che li vedono protagonisti. Abbiamo modificato la storia di quelli che hanno lottato contro la colonizzazione ottomana solo perché alcuni ritengono che quella fosse una legittima dominazione islamica e non una vera occupazione. I libri sulla rivoluzione di Gomah sono spariti dalle librerie e sono diventati molto rari. Conosciamo solo Omar al Mokhtar, la cui effigie è incisa sulle monete libiche. Sì, sono molto orgoglioso di lui, così come sono orgoglioso di tutti gli altri eroi, arabi e amazigh, che hanno lottato contro l’ingiustizia e l’occupazione per liberare i libici. Ma, mi chiedo, se Omar al Mokhtar avesse lottato contro i turchi invece che contro gli italiani, il suo status sarebbe stato lo stesso?

L’Assaraya al Hamra diventò il quartier generale del governatore italiano della Tripolitania, e tra il 1943 e il 1951 fu utilizzato a scopo militare e amministrativo dal governo britannico. Solo alla fine degli anni cinquanta fu riorganizzato come museo. Il nuovo museo fu inaugurato ufficialmente al pubblico nel 1988, progettato in collaborazione con l’Unesco.

Forse abbiamo appena completato un ciclo e siamo tornati al punto di partenza. Dopo tutto, “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla” (Gabriel Garcia Marquez)

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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