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Il grande assente da tutti i negoziati sulla Libia

Durante il vertice di Berlino sulla Libia, il 19 gennaio 2020. (Account Facebook di Giuseppe Conte)

In una dimostrazione di forza che ha gettato un’ombra sull’ultimo vertice di Berlino sulla Libia, le forze leali a Khalifa Haftar, comandante delle Forze armate arabe libiche (Laaf), hanno chiuso il 17 gennaio gli oleodotti per l’esportazione di petrolio nelle aree da loro controllate.

A meno che non siate dei vignettisti, leggendo questa notizia vi sarete probabilmente immaginati qualcosa di un po’ più sofisticato di un uomo che gira una valvola, come se fosse un rubinetto in giardino. Ma questa è la Libia, e qui le parole si materializzano con un’ironia situazionale rovesciata. Guardando qualche video scoprirete che le cose sono andate proprio così.

Il vertice di Berlino del 19 gennaio doveva servire a rendere effettivo l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite dal 2011 e a consolidare la tregua. Ma non ha dato risultati concreti. Nonostante le dichiarazioni della vigilia, le fazioni libiche in lotta tra loro e i rispettivi sostenitori non hanno mostrato di voler abbassare i toni. Sono ripresi gli scontri in tutta la capitale e ognuno dei due campi accusa l’altro di aver violato la tregua per primo.

Le forze leali ad Haftar hanno lanciato missili contro l’aeroporto Mitiga di Tripoli, mentre i voli fuori programma dalla Siria e dagli Emirati Arabi Uniti verso gli aeroporti controllati da Haftar si sono intensificati. A questo bisogna aggiungere l’ammissione implicita di Fayez al Sarraj (il capo del Governo di accordo nazionale di Tripoli, Gna) sull’uso di combattenti addestrati dalla Turchia in Siria per capire come l’idea di un efficace embargo sulle armi sia piuttosto inverosimile. E se questo non bastasse, il 28 gennaio le forze affiliate al Gna hanno annunciato di aver abbattuto un drone delle Laaf. Lo stesso giorno, mentre circolavano notizie ufficiose di spiegamenti di uomini e armamenti, sono state pubblicate le foto di due navi turche al largo di Tripoli.

Due stili di governo
Il governo di Tripoli sta attraversando anche delle faide interne. L’ex presidente dell’alto consiglio di stato, Abdulrahman Sewehli, ha attaccato quello attuale, Khalid al Mishri, accusandolo di essere al servizio del partito Giustizia e costruzione (il ramo libico della Fratellanza musulmana). Di solito Sewehli apre bocca solo per mangiare, bere e mentire, ma stavolta i suoi sproloqui contenevano un nocciolo di verità. I Fratelli musulmani hanno perso tre elezioni in Libia. Eppure fanno ancora parte del confronto politico, e questo solo grazie al supporto di milizie a loro leali.

Al Sarraj non è un militare né un islamista, e non fonda la sua autorità su legami tribali. Non è neppure particolarmente carismatico: prima dell’offensiva di Haftar su Tripoli, cominciata lo scorso aprile, parlava di rado. Al Sarraj ha sempre evitato gli scontri, come se il suo ruolo fosse pilotare il paese finché non gli fosse stato possibile cedere l’incarico a qualcuno che avesse vinto delle elezioni. Forse questo atteggiamento dimesso ha spinto sia i suoi alleati sia Haftar a rivendicare un potere più ampio.

Immagine estratta da un video pubblicato sull’account Facebook di Khalifa Haftar durante un incontro con Angela Merkel a Berlino, il 19 gennaio 2020.

Del vertice di Berlino, una foto mi è sembrata particolarmente interessante. Non mi riferisco a quella in cui Vladimir Putin, Giuseppe Conte, Emmanuel Macron e Abdel Fattah al Sisi sembrano impegnati in una partita di scopa sotto lo sguardo di Angela Merkel. Mi riferisco a una foto in cui Merkel è seduta a un tavolo di fronte ad Haftar. Alla sinistra del generale c’è un uomo che traffica con il telefono: è Ayoub al Ferjani, cognato di Haftar e, come lui, componente della tribù Al Ferjani. Haftar ha promosso lui e altri familiari ai più alti ranghi militari. Nella stessa foto, alla destra di Haftar c’è un altro membro della stessa tribù.

Come molti dittatori, Haftar ama tenersi vicini i familiari in una struttura più simile alla mafia che a un’organizzazione militare. I suoi figli, Saddam e Khaled, comandano due importanti milizie. Altri due, Okba e Sadiq, si occupano delle questioni economiche della famiglia. Dopo i figli viene la tribù: il generale Aoun al Ferjani è capo della sicurezza militare e Salim Mahmoud al Ferjani, capo della sicurezza di stato. E la lista continua.

Il vertice di Berlino è stato un fallimento, come lo sono stati negli ultimi anni quelli di Parigi, Palermo e Mosca. Possiamo attribuire l’insuccesso a molte cause, a cominciare dal fatto che molte iniziative intraprese per risolvere il rompicapo libico hanno cercato di mettere insieme i pezzi sbagliati. Macron ha parlato di questi pezzi quando ha presentato il conflitto libico come uno scontro tra due fazioni in lotta. Da un lato, un aspirante dittatore che guida un gruppo disomogeneo di milizie salafite e tribali, accompagnato dall’inutile e diviso parlamento di Tobruk. Dall’altro il Gna, un governo di facciata insediato dalla comunità internazionale per riempire un vuoto e che fa da holding per le milizie. Il Gna è accompagnato dall’alto consiglio di stato, monopolizzato dai Fratelli musulmani.

Queste due fazioni raccolgono gli interessi e i desideri di tutti i loro componenti e sostenitori. Eppure da tutti i tavoli che finora hanno ospitato il dialogo libico è mancata una parte fondamentale: la volontà del popolo libico.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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