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Cosa non torna nell’analisi costi-benefici sul Tav

Il cantiere del Tav a Saint-Martin-la-Porte, nel sudest della Francia, 29 novembre 2018. (Marco Bertorello, Afp)

Lasciamo per un momento da parte i quasi trent’anni di opposizioni e resistenze di massa, i cantieri occupati, i lacrimogeni, gli abitanti della val di Susa arrampicati sui tralicci e anche il gruppo di donne che a Torino ha organizzato diverse mobilitazioni a favore dell’opera. Insomma, lasciamo da parte trent’anni di battaglie e di lacerazioni provocate dalla Nuova linea ferroviaria Torino – Lione, più nota come Tav (treno ad alta velocità), e cerchiamo di rimettere in fila i dati.

L’occasione viene dall’analisi costi-benefici voluta dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli, affidata a una commissione di sei esperti – tra cui Pierluigi Coppola, l’unico che non ha sottoscritto le conclusioni – e presieduta dall’economista Marco Ponti.

Dopo molte anticipazioni e speculazioni, il dossier è stato pubblicato dal ministero. E traccia un bilancio negativo: calcola che i costi dell’opera superano i benefici di sette miliardi di euro previsti nell’ipotesi definita “realistica” (le altre oscillano tra un minimo di 5,7 e un massimo di 8 miliardi).

Dai passeggeri alle merci
Il computo dei costi e dei ricavi forse non esaurisce la questione: ma vediamo intanto questi conti. Tutto ruota intorno alle previsioni di traffico, e soprattutto del traffico merci. Trent’anni fa infatti la linea ferroviaria veloce era pensata per i passeggeri, per connettere Torino alla rete grande vitesse francese (per questo è rimasta la sigla Tav, ormai impropria); del resto è allora che anche in Italia si progettavano linee veloci per “accorciare” la penisola. Poi l’accento è passato dai passeggeri alle merci, con un sistema misto “ad alta capacità”.

Ormai l’argomento di chi sostiene la nuova opera è che il traffico merci è in aumento, e che rafforzare la Torino-Lione è indispensabile per rafforzare i collegamenti, stare al passo con l’innovazione tecnologica e realizzare l’obiettivo europeo di trasferire il trasporto delle merci dalla strada alla ferrovia, con vantaggio per i consumi energetici, la congestione stradale, l’inquinamento e le emissioni di gas di serra. Molto ragionevole: ma il traffico sulla direttrice Torino-Lione giustifica un tale investimento?

Il progetto Tav, dopo le successive revisioni, si concentra ormai su un traforo di 21 chilometri tra Bussoleno in Italia e Saint-Jean-de-Maurienne in Francia. La tratta oggi è di 87 chilometri, e scenderebbe a 66 chilometri. La riduzione di tempo e costi per il servizio merci porterebbe a un risparmio di sette euro a tonnellata; i passeggeri guadagnerebbero circa un’ora sul percorso da Torino a Lione.

Due ipotesi
La commissione presieduta da Ponti ha considerato due ipotesi di traffico. Una riprende le previsioni formulate nel 2011 e nel 2017 dall’osservatorio sulla Torino-Lione istituito dalla presidenza del consiglio, basate su due assunti: che il traffico merci complessivo aumenti del 2,5 per cento ogni anno nei prossimi trent’anni; e che la nuova ferrovia assorba da un lato il 18 per cento del traffico di merci che oggi passa attraverso i passi del Sempione e del Gottardo verso la Svizzera, e dall’altro un terzo di quello che transita per Ventimiglia e per il traforo del Frejus verso la Francia.

Secondo questa ipotesi, il traffico merci su rotaia dovrebbe passare da 2,7 milioni di tonnellate all’anno nel 2017 a 51,8 milioni di tonnellate nel 2059: una crescita di circa venti volte. Inoltre, il traffico di passeggeri su “lunga distanza” passerebbe da 700mila a 4,6 milioni di persone, e quello regionale raddoppierebbe da 4 a 8 milioni.

Un’analisi costi-benefici non è una scienza assoluta. Dipende da cosa si include tra i costi e cosa tra i benefici

Sono previsioni ottimistiche, ma irrealistiche secondo la commissione presieduta da Ponti, che ha formulato così una seconda ipotesi, decisamente più cauta, basata sull’analisi degli attuali flussi di traffico nazionali ed europei. La stima prevede che il traffico merci complessivo cresca solo di una volta e mezzo all’anno, raggiungendo i 25 milioni di tonnellate all’anno nel 2059, e che quello dei passeggeri si limiti a raddoppiare sulla lunga distanza e a crescere del 25 per cento sulle tratte regionali.

Secondo l’analisi della commissione presieduta da Ponti, in entrambe le ipotesi il “valore attuale netto economico” della nuova opera sarebbe negativo.

La commissione Ponti sostiene che il bilancio dell’opera è negativo anche se si tiene conto del costo di non portare a termine il progetto, stimato nella relazione tecnico-giuridica allegata: un miliardo e mezzo per ripristinare i luoghi dove sono già stati aperti dei cantieri, più le penali per i contratti già firmati da Telt – la società costruttrice italo-francese – stimate tra 1,3 e 1,7 miliardi di euro.

Le critiche
Il fatto è che un’analisi costi-benefici non è una scienza assoluta. Dipende molto da cosa si include tra i costi e cosa tra i benefici. La commissione Ponti è stata criticata per esempio perché mette tra i costi il mancato introito fiscale proveniente dalle accise sul carburante e sui pedaggi autostradali: ovvero, se merci e passeggeri si spostano dalle autostrade alla ferrovia, e quindi cala il consumo di benzina, lo stato incasserà 1,6 miliardi in meno e i concessionari delle autostrade tre miliardi in meno.

Argomento scivoloso però, che infatti non convince un’ambientalista ed esperta in sistemi di trasporti come Anna Donati, che pure ha sempre criticato il progetto Tav: “Considerare la riduzione delle accise sul carburante come un costo è pericoloso. Dipende da quale obiettivo ci poniamo: dovremmo forse considerare positivo ogni progetto che induce maggiori consumi di carburante, visto che porterebbe nuove entrate allo stato?”.

L’analisi della commissione Ponti in effetti considera i vantaggi ambientali della ferrovia: decongestione delle autostrade, rumore, qualità dell’aria, emissioni di gas serra. Per quantificarli, lo studio valuta 90 euro per ogni tonnellata di anidride carbonica non emessa nell’atmosfera, secondo lo standard europeo. Ma stima che l’impatto della nuova linea Torino-Lione sarebbe modesto, tra 500mila e 700mila tonnellate di anidride carbonica in meno all’anno rispetto a oggi: appena lo 0,5 per cento delle emissioni che ogni anno produce il sistema nazionale dei trasporti in Italia.

Per trasferire traffico dalle autostrade alle rotaie non basta scavare tunnel ferroviari

Uno studio simile aiuterà a dirimere lo scontro pro o contro il Tav? Difficile, e non solo perché è già stato bollato come “di parte”, entrando nel tritatutto dello scontro politico. C’è anche il fatto che “allineare costi e ricavi è utile, ma non basta: ogni decisione di investimento sul territorio deve chiamare in causa strategie complessive per il futuro”, dice ancora Donati.

Fare il Tav, non farlo, oppure fare qualcosa di diverso? Per trasferire traffico dalle autostrade alle rotaie non basta scavare tunnel ferroviari, sostiene Donati: bisogna considerare politiche di restrizione ai tir “sul modello della Svizzera, che ha tassato e contingentato il traffico pesante per spingere le merci sui treni”.

Tra i favorevoli a farla, ci sono dodici associazioni imprenditoriali che hanno firmato un manifesto delle imprese e sostengono che l’opera è necessaria per “restare competitivi” e per avvicinare l’Italia all’Europa, e perché in caso contrario il trasporto merci sul versante ovest dell’arco alpino diventerebbe sempre più costoso e meno competitivo.

Tuttavia, oggi il traffico merci sulla ferrovia Torino-Lione è in calo. Lo constatava l’osservatorio sulla Torino-Lione già un anno fa: oggi su quella tratta passano 38 treni merci al giorno che trasportano circa tre milioni di tonnellate di merci ogni anno.

Esistono dunque delle alternative? In una lunga analisi dei documenti dell’osservatorio, Donati ricorda che nel 2000 le compagnie ferroviarie francese e italiana avevano prodotto un importante studio tecnico di modernizzazione della linea esistente dove “dimostravano che c’era spazio per miglioramenti tecnologici e organizzativi capaci di portare il traffico dagli attuali 38 a 150 treni merci al giorno, pari a 20 milioni di tonnellate all’anno”.

Da tempo sembra che le strategie europee dei trasporti puntino sulle direttrici sud-nord, dall’asse Milano-Svizzera a quello del Brennero. Ma è difficile ragionarci: il Tav è e rimane ostaggio dello scontro politico.

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