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Melissa Lucio, sopravvissuta agli abusi e finita nel braccio della morte

Dal documentario The state of Texas vs. Melissa, di Sabrina Van Tassel. (Filmrise)

L’investigatore ha dato a Melissa Lucio una bambola di plastica e le ha chiesto di sculacciarla. “Fallo con forza, molta forza”, le ha detto. Lucio aveva già passato cinque ore quella notte, nel febbraio 2007, a rispondere alle domande sulla morte di sua figlia di due anni, Mariah Alvarez. Inizialmente aveva detto che Mariah era caduta da una scala fuori dell’appartamento della famiglia a Harlingen, nel Texas, una piccola città vicino al confine con il Messico. Ma Mariah aveva lividi, segni di morsi e altre ferite.

Uno degli investigatori, un ranger del Texas di nome Victor Escalon Jr, si è fissato sulla postura dimessa di Lucio e sul fatto che non lo guardasse negli occhi. “Ho capito subito che aveva fatto qualcosa”, ha poi testimoniato. I ranger sono famosi per i loro metodi d’interrogatorio poco ortodossi, come ha raccontato di recente The Marshall Project. Intorno alle tre del mattino, Escalon ha consegnato la bambola a Lucio, mostrandole le posizioni dei lividi e chiedendole di colpire quei punti. Lei ha ammesso di aver colpito sua figlia: “L’ho fatto e basta”, ha detto a un certo punto. Ma non di averla uccisa. Al suo processo, i procuratori dell’accusa hanno presentato le sue ammissioni come una confessione completa.

Il Texas prevedeva di uccidere Lucio il 27 aprile tramite iniezione letale per l’omicidio di sua figlia. I suoi avvocati sono riusciti a far sospendere la pena e stanno preparando una nuova battaglia nel tribunale statale, sostenendo che la sua condanna si basa su una falsa confessione e su prove scientifiche inesatte. I suoi familiari, insieme a Innocence Project e a Sabrina Van Tassel, regista del documentario The state of Texas vs. Melissa, stanno facendo campagna perché le sia risparmiata la vita.

Interrogatori brutali
Le esecuzioni di donne sono rare negli Stati Uniti – 17 nell’ultimo mezzo secolo, rispetto a più di 1.500 uomini – ma tendono a ottenere una grande attenzione pubblica e a suscitare dibattiti su una varietà di questioni più ampie. Il caso di Lucio è stato di particolare interesse per gli esperti psichiatrici e forensi, perché potrebbe dimostrare un fenomeno che solo da poco tempo stanno cominciando a capire. Le persone sopravvissute a un trauma, secondo loro, sono particolarmente inclini ad assumersi la colpa per tragedie per le quali non hanno alcuna responsabilità. “Chiunque si sentirà stressato nella stanza dell’interrogatorio, ma per una persona vittima di disturbo post-traumatico da stress, la tensione sale a mille”, ha detto Lucy Guarnera, una docente di psichiatria dell’università della Virginia che studia le false confessioni. “Una donna che ha subìto violenza domestica adesso si ritrova intrappolata in una stanza con degli uomini minacciosi”. La famiglia e gli avvocati di Lucio sostengono che nella sua vita Lucio è stata vittima di abusi compiuti da vari uomini. È un fatto comune tra le detenute nel braccio della morte, come Lisa Montgomery, la donna messa a morte negli Stati Uniti più di recente.

Megan Crane è un’avvocata di St. Louis del MacArthur justice center, un’organizzazione per i diritti civili, e quando ha cominciato a notare che i suoi clienti adolescenti potrebbero aver rilasciato false confessioni dopo aver subìto un trauma, ha cercato ricerche da citare nelle sue argomentazioni in tribunale, senza però trovare molto. “È ovvio che il fenomeno esiste, ma non è stato documentato”, spiega. Così ha creato una squadra con Guarnera, con il docente di giustizia penale della Virginia Commonwealth University, Hayley Cleary, e con il professore di psichiatria della University of Virginia medical school, Jeffrey Aaron, per esaminare i traumi tra gli adolescenti che avevano confessato di aver commesso dei crimini. Più o meno nello stesso periodo, i legislatori hanno cominciato a cercare di proteggere i giovani da interrogatori aggressivi, spinti da casi di alto profilo come quello dei cosiddetti Central Park Five e quello di Brendan Dassey, l’adolescente che ha confessato uno stupro e un omicidio e la cui vicenda è stata raccontata nella serie documentaristica Making a murderer. Nel 2021, l’Illinois e l’Oregon hanno vietato agli investigatori di mentire alle persone sospettate che abbiano meno di 18 anni, anche se questa pratica rimane legale negli altri 48 stati.

Per decenni gli psicologi hanno cercato di capire perché le persone confessano crimini che non hanno commesso (il National registry of exonerations, che cataloga i casi di proscioglimento giudiziario, ha monitorato più di 350 false confessioni dagli anni ottanta a oggi). E ne hanno attribuito la responsabilità allo stile dominante degli interrogatori della polizia statunitense, che fa leva su bugie (“sappiamo già che sei colpevole”), su un linguaggio che minimizza per ingannare la persona interrogata (“forse è stato un incidente”), e sull’alzare la posta in gioco (“ti faranno un’iniezione letale, cazzo”).

I ricercatori dicono che il rischio di una falsa confessione non riguarda solo i minorenni traumatizzati, ma anche le vittime adulte di violenza domestica. Negli anni settanta, la psicologa forense Lenore Walker pubblicò The Battered woman, uno studio che descriveva come le relazioni violente possono seguire un “ciclo di violenza”. Ha cominciato a testimoniare in tribunale, a volte per conto di donne accusate di aver ucciso chi aveva abusato di loro. Walker ha lavorato sul caso di Darlene Green, che era stata condannata per aver ucciso il marito nel 2010 a Washington. Green inizialmente si era assunta la responsabilità, ma nel 2012, durante il suo processo, aveva testimoniato che l’uomo in realtà si era sparato. Green ha raccontato ai giurati quali rimproveri subiva dal marito: “Continuava a parlare, parlare, finché io non ammettevo che era colpa mia, che ero io responsabile di tutto”. E ha inquadrato la sua prima confessione come un altro esempio di questa dinamica. La sua condanna è stata rovesciata diversi anni dopo, e Green è morta nel 2015 mentre era in attesa di un nuovo processo.

Dopo il processo Green, Walker ha chiamato a raccolta i suoi studenti laureati della Nova Southeastern University in Florida per raccogliere casi di donne che, stando ai loro ricorsi in tribunale, probabilmente avevano rilasciato false confessioni, e ne hanno trovate ottanta: circa la metà ha riferito di traumi o abusi passati, più di un terzo ha detto che “le minacce ai loro figli hanno influenzato le loro confessioni”. Alcune sembravano aver confessato dei crimini pensando di proteggere i figli dall’arresto, mentre altre avevano paura di futuri abusi da parte del vero colpevole: il fidanzato o il marito.

Le “cattive madri”
Walker ha notato che le donne possono rischiare condanne più severe per la morte dei bambini, e ha fatto l’esempio di Ashley Buckman, condannata a morte per l’omicidio del 2012 di sua figlia di quattro anni a Phoenix, Arizona, mentre il suo compagno era stato condannato all’ergastolo. “Quando succede, è a causa degli stereotipi sulle madri”, ha detto Walker a The Marshall Project. “Le giurie odiano le donne che ‘non proteggono i loro figli’, anche se queste stesse donne rischiano di essere uccise”. I confronti su larga scala dei risultati delle sentenze sono rari, ma diversi studi hanno dimostrato che gli stereotipi sulla maternità hanno influenzato il modo in cui le donne sono ritratte nelle aule di tribunale e nei mezzi d’informazione.

Può capitare che le forze dell’ordine si accorgano che una donna sospettata di un crimine subisce abusi ed è spaventata. Nel 2009 Kristina Earnest confessò l’omicidio di sua figlia di cinque anni, Kati, a Vernon, una piccola città nel nord del Texas. Il procuratore distrettuale Staley Heatly si accorse che le sue dichiarazioni “non avevano senso” e spinse gli investigatori a perseguire il suo partner, Tommy Castro, che in seguito è stato condannato per l’omicidio della bambina. Castro “aveva stabilito un livello incredibilmente alto di controllo su Kristina attraverso abusi fisici su di lei e i suoi figli”, ha spiegato Heatly a The Marshall Project in una mail. “Ha minacciato di fare del male ai figli che rimanevano a Kristina se lei avesse detto alla polizia quello che era realmente successo” (in una lettera dalla prigione, Castro ha negato di aver commesso l’omicidio e di aver fatto del male o minacciato Earnest.)

A volte la donna non ha paura del partner, ma di chi la interroga. Shanda Crain è stata condannata per aver ucciso i suoi genitori nel 1995 a Washington Parish, Louisiana, ma continua a dirsi innocente. All’istituto penitenziario femminile della Louisiana ha seguito un corso universitario su diritto e femminismo, e ha cominciato a studiare la psicologia delle confessioni. Ha scritto un articolo accademico che analizza il suo stesso caso, usando la terza persona per raccontare come un investigatore l’abbia manipolata: “Il veleno che usciva dalla sua bocca e il tono della sua voce mandavano la mente di Shanda in delirio, ricordandole tutte le volte che suo marito le urlava contro per nessun motivo valido, se non perché poteva farlo… Nella sua mente si preparava mentalmente all’abuso fisico che di solito arrivava dopo”. Anche se Crain non ha affrontato alcun pericolo fisico da parte del funzionario, crede di aver confessato in parte a causa di una paura appresa dalla violenza in passato.

E quando ha saputo del caso di Melissa Lucio, ha trovato degli elementi che le sono suonati familiari. “Conoscendo tutta la brutalità della polizia registrata e presentata apertamente in pubblico”, ha scritto in un messaggio dalla prigione, “potete immaginare cosa succeda dietro le porte chiuse di una stanza d’interrogatorio”. Secondo gli avvocati di Lucio, gli uomini della sua famiglia hanno cominciato ad abusare sessualmente di lei quando aveva sei anni, e sua madre le ha permesso di sposarsi a 16 anni con un uomo che l’ha abbandonata dopo aver dato alla luce cinque figli. Si è sposata di nuovo e ha avuto altri nove figli. Questo marito, secondo i suoi avvocati, l’ha violentata, picchiata e soffocata. The Marshall Project e The 19th non hanno potuto raggiungere i due ex mariti di Lucio, ma Sabrina Van Tassel, la regista che ha diretto il documentario del 2020 The state of Texas vs. Melissa ha detto che entrambi hanno rifiutato di parlare con lei in via ufficiale.

Durante il suo interrogatorio, Lucio ha ripetutamente negato di aver colpito sua figlia. “Continuavano a puntarmi il dito contro e a minacciarmi, dicendomi che avrei passato il resto della mia vita in prigione, che non avrei potuto vedere gli altri miei figli crescere e sposarsi”, ha detto Lucio alla regista. “Continuavano a sputarmi addosso un sacco di parole, e io gli ho detto: ‘Sono responsabile dei lividi di Mariah’”.

“Le vittime di traumi spesso hanno reazioni psicologiche che le fanno apparire colpevoli, anche quando non lo sono”

Dopo che Lucio è stata arrestata con l’accusa di aver ucciso sua figlia, un assistente sociale ha saputo che una figlia più grande si era assunta la responsabilità della caduta della bambina dalle scale. L’assistente sociale ha notato che Lucio spesso assecondava gli uomini in posizione di autorità perché era profondamente abituata a essere vittima di abusi. Uno psicologo ha scritto in un rapporto che Lucio mostrava “un modello coerente di ‘intorpidimento psicologico’ che spesso si riscontra nelle vittime di violenza e abuso”.

Entrambi hanno deposto davanti alla giuria che doveva decidere la pena di Lucio. I suoi avvocati hanno sostenuto che questi esperti avrebbero dovuto essere autorizzati a testimoniare anche quando la giuria aveva deciso se Lucio fosse colpevole o meno. La corte suprema degli Stati Uniti si è rifiutata d’esaminare il suo caso nel 2021, ma un documento presentato da avvocati e associazioni di lotta alla violenza domestica ha confutato l’affermazione dei ranger del Texas secondo cui la postura di Lucio e altri comportamenti passivi suggerivano la sua colpevolezza e la volontà di confessare. “Le vittime di traumi spesso hanno reazioni psicologiche che le fanno apparire colpevoli, anche quando non lo sono”, hanno scritto. Escalon oggi è un alto funzionario del dipartimento di pubblica sicurezza del Texas. Un portavoce del dipartimento si è rifiutato di autorizzare un’intervista con Escalon.

Uno degli avvocati di Lucio, Tivon Schardl, ha detto a The Marshall Project che gli inquirenti hanno cercato di manipolare psicologicamente in modo subdolo Lucio dicendole che lei era l’unica persona rimasta sola con sua figlia. Questo non era vero, ha spiegato Schardl, ma ha costretto Lucio a rischiare di coinvolgere un’altra persona della famiglia dicendo che era rimasta sola con lei. “I poliziotti le dicevano che qualcuno della famiglia sarebbe stato ritenuto responsabile”, ha spiegato Schardl, e Lucio è “una donna abituata da tempo a una vita in cui le altre persone hanno valore, ma lei è sacrificabile”.

L’ufficio del procuratore generale del Texas, che non ha risposto a una richiesta di intervista, ha presentato in tribunale i documenti confermando che l’autopsia di Mariah ha mostrato che la bambina è morta per un “trauma cranico provocato da corpo contundente”. L’accusa ha sottolineato che secondo un medico del pronto soccorso che ha esaminato la bambina è stato “di gran lunga il peggiore” caso di abuso infantile che abbia mai visto. In precedenti appelli, gli avvocati di Lucio hanno sostenuto che gran parte delle affermazioni della pubblica accusa si basa su dati scientifici inesatti: i “segni di morsi” apparentemente trovati sul corpo di Mariah, per esempio, non erano davvero dei morsi, e il trauma cranico potrebbe davvero essere stato causato dalla caduta. La difesa potrebbe presentare nuove richieste in tribunale. Altrimenti Lucio potrebbe chiedere una riduzione della pena al governatore del Texas, Greg Abbott, il cui ufficio si è rifiutato di commentare.

Che Lucio sia giustiziata o meno, il suo caso rimarrà al centro dell’attenzione dei ricercatori che cercano di capire perché alcune persone sono particolarmente vulnerabili nella stanza degli interrogatori, e come possano essere maggiormente protette. I legislatori dello stato di New York stanno valutando d’introdurre il divieto d’ingannare i sospetti. “Il tentativo di sfuggire a una minaccia è uno dei sintomi chiave di chi subisce traumi”, ha detto Guarnera. “Nella vita normale questo significa non andare dove ci sono uomini strani, non andare a vedere film violenti. Ma nella stanza degli interrogatori, significa cercare di uscire dalla stanza a qualsiasi costo. E l’unica via d’uscita è la confessione”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Quest’articolo è una collaborazione di The Marshall Project con The 19th News, una pubblicazione senza fini di lucro che si occupa di genere, politica e politiche pubbliche.

Da sapere
Condanna sospesa per Melissa Lucio

Il 25 aprile 2022, dopo che sono emerse nuove prove, una corte d’appello del Texas ha sospeso la condanna a morte di Melissa Lucio, accusata di aver ucciso la figlia di due anni. L’esecuzione era prevista per il 27 aprile. La corte ha accolto il ricorso dei legali di Lucio che chiedevano di riportare il caso davanti a un tribunale di prima istanza, esaminando la possibilità che l’accusa abbia usato delle false testimonianze, che nuove prove scientifiche in precedenza non disponibili potrebbero servire per far rilasciare la donna e che l’accusa possa aver nascosto altre prove che avrebbero potuto essere usate in suo favore.–The New York Times

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