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Hamas nei panni del carnefice

La gentilezza eccessiva del giovane cameriere mi riporta alla memoria una conversazione con un amico di Gaza durante l’ultima offensiva israeliana, nell’estate del 2014. Mi trovo in un hotel di lusso a Lugano, dove mi hanno invitato per una conferenza, ed è evidente che né io né il cameriere siamo a nostro agio. Non possiamo essere noi stessi fino in fondo perché siamo costretti a recitare una parte, lui per guadagnarsi da vivere e io per nascondere l’imbarazzo di essere servita e riverita.

L’artificiosità di questa rappresentazione della differenza di classe mi ricorda l’importante osservazione del mio amico. L’esercito e i servizi israeliani, mi aveva detto, conoscono gli esponenti di Hamas solo per quello che vedono durante gli interrogatori e le sessioni di tortura. Ed è su questa falsa conoscenza che si basano quando pianificano le loro guerre. Ma è evidente che in quelle occasioni i prigionieri di Hamas, che siano spaventati e sottomessi o testardi e coraggiosi, si comportano in modo diverso rispetto a quando sono liberi.

A quel punto la mia mente torna al presente. Un rapporto di Amnesty international sulla guerra del 2014 accusa Hamas di aver torturato e ucciso alcuni presunti collaborazionisti. Il documento contiene resoconti raccapriccianti. I 21 anni di governo dell’Autorità Nazionale Palestinese e gli otto anni di governo di Hamas testimoniano che le vittime di tortura non sono immuni dalla tentazione di trasformarsi in torturatori.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2015 a pagina 26 di Internazionale, con il titolo “Nei panni del carnefice”. Compra questo numero | Abbonati

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