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La moschea della discordia

Donne palestinesi protestano davanti alle forze di sicurezza israeliane, a Gerusalemme, contro la visita di un gruppo ebraico alla Spianata delle moschee, il 22 settembre 2015. (Ahmad Gharabli, Afp)

Un giovane, calvo e con la barba, stava in piedi accanto ai negozi sbarrati e guardava i tre poliziotti che bloccavano l’ingresso della strada. Io sono riuscita a passare, ignorando i loro avvertimenti in inglese. Poi uno dei poliziotti ha chiesto al suo collega: “E se poi le succede qualcosa?”.

Quella strada della città vecchia di Gerusalemme conduce a uno degli undici ingressi al complesso della moschea di Al Aqsa. In vista dello Yom kippur e dell’arrivo dei fedeli ebrei, il 21 settembre i commercianti hanno ricevuto l’ordine di non aprire i negozi e solo tre ingressi alla moschea sono rimasti aperti per i musulmani. Le provocazioni di alcuni visitatori ebrei, che hanno detto di voler costruire lì il terzo tempio ebraico, hanno contribuito ad aumentare le tensioni.

Il giovane calvo vive lì, in una bella casa tra gli archi. Non ha potuto frequentare la moschea per un anno perché era stato fermato dalla polizia mentre lanciava pietre. “Pensi davvero che lì c’era un tempio?”, mi ha chiesto, aspettandosi un no come risposta. Ho evitato di rispondere perché non avevo voglia di entrare in una discussione teologica. Lui però ha continuato a ridicolizzare questa tesi, affermando che se anche ci fosse stato un tempio evidentemente Dio aveva voluto che fosse distrutto e che al suo posto gli angeli costruissero una moschea. “È compito degli abitanti di Gerusalemme, e in generale di tutti i palestinesi, difendere questa creazione degli angeli”, ha concluso.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 settembre 2015 a pagina 29 di Internazionale, con il titolo “La creazione degli angeli”. Compra questo numero | Abbonati

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