Quattro bianchi al mercato di Johannesburg
“Ehi bianchi, venite qui”. A rivolgerci l’invito sono tre ragazzi neri in una strada del quartiere Yeoville, a Johannesburg. Non è ancora mezzogiorno, quindi immagino che siano disoccupati. Noi, quattro bianchi, risaltiamo tra i venditori del mercato e i loro clienti.
“E io sarei bianco?”, protesta il mio amico J., nato in un campo profughi, cresciuto a Gaza e oggi ricercatore in Sudafrica. A., ebreo sudafricano, vive a Yeoville da 19 anni. È arrivato lì insieme ai neri, quando i bianchi stavano abbandonando il quartiere. Si considera un “bianco non bianco” perché per tutta la vita ha lottato contro l’apartheid e per il socialismo. Contesta tutte le politiche che distinguono le persone in base al colore della pelle. Il terzo bianco è un professore universitario nato in Israele e oggi residente in Sudafrica, che si è unito a me e a J. nel piccolo giro organizzato da A.
Due giorni prima io, la mia amica israelostatunitense S. e sua figlia eravamo le uniche bianche in un parco del centro, che si trova vicino a una fatiscente galleria d’arte. Come Yeoville, anche quella è una zona in passato riservata ai bianchi e oggi, a differenza dei quartieri dove vivono i bianchi, densamente popolata, colpita dalla povertà e amministrata in modo distratto dall’African national congress (Anc). “Quel giorno eravamo le uniche persone bianche nel parco”, racconto ad A.
“Probabilmente siete state le prime persone bianche a entrarci dall’inizio dell’anno”, risponde.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questa rubrica è stata pubblicata il 30 ottobre 2015 a pagina 29 di Internazionale, con il titolo “Gli unici bianchi”. Compra questo numero | Abbonati