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La rabbia di Ramallah e dei campi profughi palestinesi

Il funerale di Iyad Sajdiyeh a Ramallah, in Cisgiordania, il 1 marzo 2016. (Mohamad Torokman, Reuters/Contrasto)

La manifestazione degli insegnanti di Ramallah si è svolta il 1 marzo, nello stesso momento in cui Iyad Sajdiyeh, 22 anni, veniva sepolto nel campo profughi di Qalandia, cinque chilometri a sud della città. Iyad era stato ucciso durante un’operazione militare nel campo. La sera del 29 febbraio due soldati israeliani si erano persi e per errore erano finiti dentro il campo. Dopo essere stati attaccati con pietre e bombe molotov, i due erano scappati mentre la loro auto andava in fiamme. In seguito l’esercito aveva invaso il campo, densamente popolato.

Ecco il dilemma della giornalista: dovevo andare al funerale e cancellare i miei appuntamenti con alcuni insegnanti? Dovevo affrontare per l’ennesima volta i nervosi uomini armati del campo che probabilmente avrebbero riempito l’aria di proiettili? Oppure dovevo restare a Ramallah e osservare i poliziotti in assetto antisommossa che impedivano agli insegnanti di raggiungere il palazzo del governo?

Non so più quante volte ho partecipato ai funerali di giovani uccisi dai soldati israeliani nelle incursioni a Qalandia. Ricordo le nuvole di sabbia e l’avanzata del corteo verso il cimitero. Conosco a memoria le parole che la gente pronuncia in questi momenti. Per le conversazioni più lunghe bisogna aspettare qualche giorno.

Un altro motivo per rinviare la visita: qualsiasi resoconto immediato si sarebbe perso nel diluvio di descrizioni autocommiseranti degli israeliani che avrebbero parlato di “belligeranza di un campo ostile”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato il 4 marzo 2016 a pagina 23 di Internazionale, con il titolo “Una visita rinviata”. Compra questo numero | Abbonati

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