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Viaggio nel tempo in Cisgiordania

Un insediamento israeliano vicino alla città di Ramallah, in Cisgiordania, dicembre 2016. (Ahmad Gharabli, Afp)

Uno dei due anziani usa un bastone. L’altro, un medico che ha studiato in Spagna, non si muove dalla sedia. Altri abitanti del villaggio mi avevano detto che era semiparalizzato, ma che continuava a ricevere i pazienti nella piccola clinica di questo centro vicino a Qalqilya, in Cisgiordania.

Siamo seduti nel cortile della clinica. Sto lavorando alla questione dei terreni inaccessibili ai contadini, che rischiano di essere occupati da Israele o dai coloni come altre volte in passato. Anche il terreno del medico è a rischio, come quelli di altre sei persone presenti nella struttura.

Comincio a fare qualche domanda, ma il medico mi interrompe con impazienza: “C’è una questione più importante della terra. Nel 1975, quando sono tornato qui dopo gli studi, non mi sembrava di vivere in un territorio occupato. La situazione era normale. Andavamo a Tel Aviv, poi a Gaza a mangiare il pesce e tornavamo in giornata. Se all’epoca qualcuno avesse chiesto ai palestinesi se volevano che gli ebrei se ne andassero, avrebbero risposto di no. Oggi è cambiato tutto”.

Il medico s’interrompe, ma non è difficile immaginare il seguito del discorso: le politiche coloniali israeliane spingono i ragazzi palestinesi a sperare che gli ebrei se ne vadano. Poi si lascia andare a un lungo monologo, saltando da un pensiero all’altro. Ma la conclusione è sempre la stessa: “Il mondo si sta autodistruggendo. A quanto pare la parola ‘umanità’ è stata cancellata dal dizionario”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 21 aprile 2017 a pagina 24 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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