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Un apartheid diverso

Gerusalemme, agosto 2017. (Hazem Bader, Afp)

Il sito Avodah ivrit (lavoro ebraico) è stato multato per diecimila euro. Un giudice ha stabilito che assumere solo lavoratori ebrei è discriminatorio. Ma il sito non è stato chiuso. L’esposto era stato presentato dal Centro israeliano per la riforma della religione e dello stato (legato all’ala riformista dell’ebraismo) e dal centro Mossawa (un’organizzazione di arabi israeliani che si battono per l’uguaglianza). La denuncia era stata appoggiata dalla commissione per le pari opportunità del ministero del lavoro, guidata da un’arabo-israeliana.

Un secondo episodio mostra che l’apartheid in Israele è diverso da quello che c’era in Sudafrica: ho fatto visita alla figlia di un mio amico di Gaza in un ospedale a Gerusalemme. A nove mesi dal suo ricovero è stata sottoposta a un trapianto di midollo osseo (donato dalla sorella). Soffre ancora molto, e non può mangiare né bere. Ma la sorella e la madre, che hanno ottenuto il permesso per raggiungere la ragazza, sono ottimiste. I medici sono bravi e c’è un’infermiera molto simpatica che ha imparato l’arabo battendosi contro l’occupazione.

Un altro infermiere, invece, si comporta in modo sgradevole. Dall’accento ho capito che è di origine russa. Ma un impiegato arabo dell’ospedale, diventato amico delle ragazze, si è rivolto a lui così: “Le ragazze dicono che lei è un po’ troppo aggressivo. Potrebbe essere più gentile?”. A sorpresa, sul volto dell’uomo è comparso un mezzo sorriso: “Sono fatto così, ma ci proverò”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 20 ottobre 2017 a pagina 24 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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