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Propaganda, quando la persuasione diventa tossica

Getty Images

Nei primi anni del nuovo millennio sembrava che la rozza, brutale propaganda si avviasse a diventare sempre più marginale.

Oggi, in coincidenza con il riaffermarsi delle ideologie e con il crescere del populismo, ecco che la propaganda spunta di nuovo fuori, più tossica che mai, insieme alle sue perfide assistenti: la manipolazione (la pressione psicologica esercitata sui punti deboli della vittima attraverso l’inganno) e la disinformazione (la diffusione di notizie false o fuorvianti).

Questo articolo vi invita a osservare più da vicino come funziona la propaganda, e vi segnala due-tre indizi utili a distinguerla al primo sguardo da altre forme di discorso persuasivo: la propaganda è, di fatto, il lato più oscuro della comunicazione persuasiva.

Chiariamoci subito. La comunicazione persuasiva, che fa leva sulle emozioni (e sull’autorevolezza, sull’esempio…) per orientare le opinioni e modificare i comportamenti, fa parte del nostro essere individui che, grazie al linguaggio, si mettono in relazione tra loro interagendo e negoziando. E influenzandosi reciprocamente.

Dunque, il problema con la propaganda non è che “persuade le persone”. Il problema con la propaganda è che persuade le persone di cose false, e che per riuscirci le disinforma e le manipola facendo leva sulla minaccia e sulla paura.

Persuadere è una pratica essenzialmente gentile: è la strada che sceglie chi vuol convincere qualcuno a fare qualcosa, e a decidere di farla senza essere obbligato a farla. La persuasione fa capo alla retorica: l’arte antichissima di formulare discorsi convincenti.

Tutti noi siamo esposti quotidianamente a mille forme di comunicazione persuasiva

La retorica nasce nel 465 avanti Cristo quando, nella colonia di Siracusa, cade il tiranno Trasibulo, violento e sanguinario. Con l’avvento della democrazia i cittadini vogliono far valere loro diritti nei tribunali per rientrare in possesso dei terreni espropriati ingiustamente.

In quell’occasione (lo racconta Cicerone, nel Bruto) il retore Corace e il suo allievo Tisia scrivono il primo manuale sull’arte del parlare in modo convincente: prima di allora nessuno ha mai pensato che un discorso si potesse strutturare in base a norme teoriche di efficacia.

Insomma, la retorica nasce come strumento di discussione democratica, e con l’obiettivo di difendere i cittadini persuadendo i giudici del loro buon diritto, dopo aver presentato i fatti nella luce migliore. Le regole sull’arte del dire verranno inseguito formalizzate da Aristotele, da Cicerone e da molti altri.

È Cicerone a scrivere che il bravo oratore deve saper docere o probare, delectare, movere o flectere, usando accortamente le parole per intrattenere, emozionare e convincere gli ascoltatori.

Tutti noi siamo esposti quotidianamente a mille forme di comunicazione persuasiva, sia come esseri umani inseriti in un contesto sociale, sia all’interno delle nostre relazioni interpersonali.

Siamo tutti comunicatori

E tutti noi, anche senza essere oratori o aver letto Cicerone, pratichiamo la comunicazione persuasiva. Lo facciamo, in modo più o meno efficace, ogni volta che, attraverso un discorso, proviamo a influenzare le convinzioni o i comportamenti di qualcun altro.

Esercita qualche forma di comunicazione persuasiva non solo l’avvocato che riesce a difendere le ragioni del suo cliente con una buona argomentazione, ma anche l’innamorato che si produce in una dichiarazione strappacore, o il medico che mette le analisi sotto il naso del suo paziente invitandolo a mangiare in modo più sano.

Esercita la comunicazione persuasiva il venditore che piazza il suo prodotto elencandone i vantaggi all’acquirente, l’autore che promuove accortamente il suo ultimo romanzo seducendo i potenziali lettori, la madre che (miracolo!) riesce a convincere il figlio a fare i compiti, e senza doverlo minacciare di tagliargli la paghetta.

Usano forme di comunicazione persuasiva le imprese, le associazioni, i partiti politici, le istituzioni e gli stati. E, poiché si rivolgono a tante persone, veicolano la propria comunicazione attraverso i media.

Dicevamo: il problema con la propaganda è che, per persuadere, gioca sporco.

Pubblicità e propaganda condividono alcune caratteristiche: spettacolarizzano, semplificano e usano leve emozionali

Se l’arte della persuasione è antichissima, il termine “propaganda” è relativamente recente. Nasce nel 1622, quando papa Gregorio XV con la bolla Inscrutabili divinae providentiae istituisce la Sacra congregazione de propaganda fide per combattere la Riforma protestante e diffondere la religione cattolica tra gli infedeli, gli eretici e nei paesi non cattolici.

Siamo in piena controriforma e non si va troppo per il sottile. L’inquisizione è già attiva da una settantina d’anni. Giordano Bruno è già finito sul rogo. Galileo sarà obbligato ad abiurare nel 1633.

La pratica della propaganda si afferma, affinandosi, tra la fine dell’ottocento (Gustave Le Bonscrive Psicologia delle folle nel 1895) e la prima guerra mondiale e si consolida tra le due guerre (nel 1933 Hitler nomina Joseph Goebbels alla guida del ministero per la chiarezza pubblica e la propaganda. In Italia il Minculpop viene istituito nel 1937, ma è attivo dal 1925 come “ufficio stampa”). È segnato dalla propaganda tutto il periodo della guerra fredda.

Anche il termine“pubblicità” appare nel 1600, ma verso la fine del secolo. In origine significa semplicemente “rendere qualcosa di pubblico dominio”. Solo a metà dell’ottocento, con il diffondersi della produzione industriale di massa e delle comunicazioni commerciali, acquista il suo significato più moderno di “comunicazione persuasiva finalizzata a promuovere la vendita di beni o la prestazione di servizi da parte di un operatore economico”.

Con il diffondersi dei mezzi d’informazione nel corso del novecento, e con il moltiplicarsi dell’offerta di beni e servizi, la pubblicità cresce in modo esponenziale.

Alcuni autori e alcuni dizionari considerano la pubblicità (quella commerciale e quella delle istituzioni e delle associazioni) come una speciale forma di propaganda“bianca”, distinta da quella “grigia” o “nera” perché la fonte è identificabile, l’intento persuasivo è dichiarato, le argomentazioni impiegate sono lecite.

Credo che sia più semplice chiamare “pubblicità” la parte bianca, e “propaganda” la parte grigia o nera della comunicazione persuasiva di massa.

Pubblicità e propaganda, in quanto forme di comunicazione persuasiva, condividono alcune caratteristiche: spettacolarizzano, semplificano e usano le leve emozionali per orientare le opinioni e motivare le persone. E si avvalgono di metafore e parole d’ordine, ripetute e ridondanti.

Ma le somiglianze finiscono qui. Guardiamo meglio le differenze, però.

La propaganda ordina a una massa indistinta di sudditi di omologarsi aderendo a un’ideologia

La propaganda è ideologica e imperativa. Fa leva su emozioni forti e incontrollabili come rabbia e paura. Usa registri intensi e concitati. È aggressiva verso il suo pubblico. È minacciosa.

La pubblicità è laica e seduttiva. Fa leva su emozioni più blande e gestibili come serenità e appagamento. Usa registri amichevoli e sorridenti, o autorevoli e rassicuranti. È conciliante verso il suo pubblico. È promettente.

Per tenere in piedi il sistema delle sue argomentazioni, la propaganda deve avere un Nemico. Se il nemico non esiste lo crea dal nulla, svalutando e calunniando, disinformando, manipolando e mentendo, fino a quando il nemico non appare reale, pericoloso e onnipresente. La propaganda riguarda la minaccia e la lotta, e lo schierarsi “contro”.

Per tenere in piedi il sistema delle sue argomentazioni, la pubblicità deve evocare un Sogno. I sogni per definizione sono qualcosa che non esiste e che, però, è piacevole e confortante immaginare. La pubblicità riguarda il desiderio, e l’andare “verso”una sua realizzazione.

Infine, la propaganda ordina a una massa indistinta di sudditi di omologarsi aderendo a un’ideologia. La pubblicità invita ciascun consumatore o ciascun cittadino a rendersi diverso da ogni altro, e a esprimere liberamente se stesso attraverso una scelta di consumo o una preferenza.

Come individuare a colpo sicuro un messaggio di propaganda, perfino quando luccica come un cioccolatino? È semplice: se il tono è cupo, urgente e imperativo, è probabilmente propaganda.

Se i dati citati sono parziali o confusi o presentati in modo fuorviante, e se le fonti non sono chiare, certe e verificabili, è molto probabilmente propaganda.

Se per legittimarsi evoca un Nemico (quanto più potente e pervasivo è, tanto meglio), è di sicuro propaganda. Ed è di sicuro propaganda se impone un’adesione acritica, totale e assoluta a un sistema di idee e di regole, e se minaccia sanzioni contro chi non aderisce.

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