“È il momento di una resa dei conti nel mondo dell’informazione”. Negli Stati Uniti il 77 per cento dei giornalisti è bianco. Come possono redazioni così poco diversificate raccontare davvero la vita di tutte le comunità? Leggi
Mosca cerca di giustificare le azioni sotto copertura in Libia e di creare un’immagine stereotipata dei fatti e dei protagonisti: l’ultima mossa è un film che ricostruisce la vicenda di due sospette spie russe. Leggi
La pandemia del nuovo coronavirus occupa uno spazio sempre più ampio nei mezzi d’informazione, ma pensiamo sia necessario continuare a raccontare quello che succede nel mondo. Leggi
È venuto il momento, credo, di raccontare in dettaglio cos’è e come funziona una strategia cognitiva che ci coinvolge tutti. Riguarda la disponibilità di informazioni, e l’uso che ne facciamo. Leggi
La circolazione delle informazioni è fondamentale nel discorso pubblico e ha un ruolo importante nel regolare le nostre emozioni, tra cui la paura. Leggi
“Se i bambini hanno sentito parlare di qualcosa alla radio, in tv o anche durante la ricreazione, dobbiamo fargli capire di cosa si tratta”, spiega Cécile Bourgneuf che cura il settimanale per bambini del quotidiano francese Libération. Leggi
Il volo Mh17, i crimini di guerra in Siria, l’avvelenamento di Sergej e Julia Skripal: il documentario Bellingcat racconta i nuovi confini del giornalismo investigativo. Sarà proiettato durate il festival di Internazionale a Ferrara. Leggi
Il mondo che noi percepiamo è diverso dal mondo così com’è: come se lo guardassimo riflesso in uno specchio che distorce forme e proporzioni. Leggi
In vista delle elezioni statunitensi ed europee i social network sono chiamati a controllare che nessuno li strumentalizzi per diffondere dubbi e confusione. Leggi
Le immagini dei ragazzi intrappolati in Thailandia inondano i nostri schermi. Perché altre tragedie di lungo periodo non attirano così tanta attenzione? Leggi
Gli italiani non si informano, e non lo fanno nemmeno su internet: sono infatti gli ultimi in Europa per la lettura di notizie online. Inoltre sembra che trasmettere emozioni sia l’obiettivo ultimo della comunicazione. Leggi
Lo scandalo di Cambridge Analytica e Facebook non sarebbe esistito senza una serie di profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. Leggi
Raggiungono più persone e si diffondono più rapidamente su Twitter: le conclusioni di uno studio pubblicato su Science. Leggi
È tutto ancora molto confuso: le stesse dinamiche di produzione e diffusione delle notizie false sono molteplici e ancora non del tutto chiarite. Leggi
Quel che è abbastanza condivisibile nelle fumose dispute sulla post-verità è la considerazione che negli ultimi anni la verità non è stata trattata molto bene dai mezzi d’informazione. Spesso le sono stati preferiti dei sostituti “al sapore della verità”: scoop, anticipazioni, esclusive… Questa iperofferta di verità da discount non ha diminuito il bisogno di verità; proprio come accade quando c’è una proposta diffusa di beni scadenti, capita che la qualità sia ancora più ricercata. Leggi
C’è un genere di errore stupido che solo le persone intelligenti possono commettere: presumere che un fatto acclarato possa sconfiggere una bugia facile e rassicurante. Siamo entrati in una nuova fase del dibattito politico e pubblico, una fase che molti esperti hanno definito “l’era della post-verità”. Leggi
“La libertà d’espressione e quella d’informazione qui non esistono”. La medesima affermazione per descrivere tre Paesi diversi, Messico, El Salvador e Venezuela, fatta da tre esempi di giornalismo votato a rivendicare il diritto a sapere e a comunicare.
Moderati da Camilla Desideri nella sala del Teatro Comunale di Ferrara, Anabel Hernández, giornalista messicana impegnata nella lotta al narcotraffico, Alberto Barriera Tyszka, scrittore e giornalista venezuelano e Roberto Valencia, giornalista di El Faro, hanno condiviso le loro esperienze al Festival di Internazionale.
“L’immagine che descrive la libertà d’espressione in Messico è quella dei sacchetti di plastica che contengono pezzi di giornalisti rapiti, torturati, stuprati ed uccisi”, esordisce Anabel Hernández.
In Venezuela, racconta Alberto Barriera Tyszka, si assiste ad una “normalizzazione dell’opacità, una completa mancanza di trasparenza, e una naturalizzazione della violenza”.
E in questi Paesi, il governo è uno degli attori della violenza, spesso il principale.
Dopo la morte di Chavez, racconta il giornalista e scrittore venezuelano, c’è stato un vuoto che Maduro non è stato in grado di colmare. Le conseguenze sono state un indebolimento della figura politica, un parallelo accrescimento del potere militare e, con questo, un aumento degli abusi di potere.
Per Anabel Hernández il governo, corrotto e colluso, fa il gioco dei narcotrafficanti, aggravando irrimediabilmente la situazione del Paese. “Una società, come quella messicana, che non ha un’informazione vera ed opportuna non ha democrazia. Non si possono prendere decisioni se non si conosce la verità.”
Roberto Valencia dipinge uno scenario in cui la popolazione salvadoregna vive in strutture del terrore create dalle gang, le maras, e dalle reazioni discutibili di uno Stato debole, che usa la violenza per risolvere i problemi. Da gennaio 2015 sono 720 i presunti membri di gang uccisi in El Salvador, in apparenti scontri con la polizia. “In molti casi si è trattato di esecuzioni sommarie, accettate dalla società perché questa sembra la soluzione più semplice e rapida”, rivela il giornalista di El Faro.
In queste realtà i giornalisti sono in pericolo. Anabel Hernández, che da quattro settimane è tornata in Messico dopo anni di allontanamento per sopravvivere, parla dell’adattamento alla sua vita sotto scorta, prigioniera delle minacce del governo e dei narcotrafficanti. “La legge a protezione dei giornalisti, promulgata in risposta alle richiesta della comunità internazionale è una simulazione”. È infatti lo stesso governo che ha promosso questa legge a minacciare i giornalisti, come è accaduto proprio alla Hernández, vittima di diverse irruzioni in casa da parte dell’esercito.
Ma ad essere in pericolo sono tutti, è la società, non solo i giornalisti, ribadiscono a gran voce tutti gli ospiti. “I giornalisti non vogliono essere trattati come vittime”, dice Valencia.
I dati sulle aggressioni, le uccisioni e le scomparse, danno solo una parziale idea di quanto grave sia la situazione. Questa opacità di cifre e statistiche è un punto fondamentale, ribadito più volte dagli ospiti.
Nonostante i rischi, Anabel Hernández non si arrende: “la missione dei giornalisti è difendere un diritto inalienabile, quello ad essere informati”.
Barbara Busnardo
Dunque, il problema con la propaganda non è che “persuade le persone”. Il problema con la propaganda è che persuade le persone di cose false, e che per riuscirci le disinforma e le manipola facendo leva sulla minaccia e sulla paura. Leggi
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