La redazione del Chicago Tribune, 1923. (Underwood Archives/Getty Images)

Le persone che lavorano nei mezzi d’informazione hanno considerato per anni l’obiettività un valore assoluto. Le cose stanno cambiando, soprattutto nel mondo anglosassone.

Qualche settimana fa sul giornale online NiemanLab Jonathan Stray ha scritto che l’obiettività è “un concetto complicato” e che oggi non ha più molto senso.

Analizzando quasi duecento articoli usciti tra il 2020 e il 2022 in cui si parlava di obiettività, Stray ha visto che in gran parte dei casi la parola è associata a una valutazione negativa.

Tra le critiche più frequenti c’è che dietro il mito dell’obiettività si nasconde spesso un “falso equilibrio con cui si rischia di distorcere la verità”. E cos’è “obiettivo” di solito lo stabiliscono giornalisti maschi, bianchi, benestanti, escludendo quindi il punto di vista di chi non rientra in queste categorie.

“Nel diciannovesimo secolo”, aggiunge Stray, “quasi tutti i giornali statunitensi erano di parte, e molti erano finanziati direttamente dai partiti. L’obiettività fu un modo per liberare le notizie dall’influenza politica, anche se il motivo era più che altro economico: per sostenersi i giornali contavano sempre meno sui singoli benefattori e sempre più sui lettori, quindi cercavano di rivolgersi a tutti, indipendentemente dal loro orientamento politico”.

Malgrado le distorsioni successive, è vero però che l’idea di un giornalismo obiettivo abbracciava anche princìpi ancora oggi condivisibili, per esempio raccontare la realtà in modo veritiero, senza alterarla deliberatamente nascondendo informazioni fondamentali.

E allora Stray propone alcune possibili alternative: onestà intellettuale, indipendenza, trasparenza. E ricorda una raccomandazione sempre utile per le redazioni: spiegare regolarmente le proprie scelte giornalistiche.

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati