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Scontenti di essere riusciti

RichVintage/Getty Images

La consolazione è che succede a tutti: si lavora al massimo per raggiungere un obiettivo. E poi, e poi… una volta conseguito il risultato, ecco che la tensione si allenta, la motivazione svanisce, e al suo posto non scintilla quel sentimento di pienezza e di vittoria che ci si aspettava (e, diciamolo: che si pensava proprio di meritare). Una bella fregatura.

Può capitare a chi ha appena superato un esame difficile. A chi ha ottenuto un miglioramento di carriera a lungo desiderato. A chi finalmente si è comprato qualcosa che voleva da un sacco di tempo. A chi ha vinto un premio, o ha riscosso un successo tanto atteso.

“Hai raggiunto un grande obiettivo. E allora?”, titola il New York Times. L’articolo parla dell’arrival fallacy (lo si potrebbe tradurre con la fallacia della meta raggiunta). L’espressione è stata coniata da uno psicologo israeliano che insegna ad Harvard, Tal Ben Shahar. “La fallacia della meta raggiunta consiste nell’illusione che, una volta conseguito il risultato che vogliamo, saremo in una condizione di felicità duratura”, dice.

Inseguimento senza fine
Questo succede perché tendiamo sempre a sovrastimare l’impatto emotivo positivo che potrebbe avere l’ottenere quanto desideriamo. O meglio: siamo abbastanza bravi a distinguere quello che ci rende felici da quello che ci rende infelici, ma siamo molto meno bravi a valutare l’intensità e la durata della felicità futura.

Tra l’altro, come segnala Forbes, quando ci focalizziamo su un obiettivo si attivano i centri cerebrali della ricompensa (e questo dà piacere). A poco a poco, il senso di stare procedendo verso una meta luminosa diventa parte della nostra identità. Così, dopo averla raggiunta, e dopo aver scoperto che non è perennemente luminosa come credevamo, non ci resta che alzare la posta, in un inseguimento senza fine.

Un ulteriore motivo è che, quando ci diamo da fare per raggiungere una meta, ci focalizziamo sugli aspetti positivi e ignoriamo le possibili conseguenze negative (per esempio, una promozione significa più soldi e più prestigio, ma anche più responsabilità, più stress, meno tempo libero. E il dovere di prendere un’infinità di decisioni difficili).

Per certi versi siamo tutti inseriti in un meccanismo infernale di illusioni e disillusioni

In effetti, come racconta Business Insider, perfino vincere un sacco di soldi alla lotteria può obbligare a prendere decisioni difficili, e può avere conseguenze disastrose.

Delusione. Disappunto. Amarezza. Disillusione. Frustrazione. L’elenco dei sinonimi e delle sfumature emotive potrebbe essere anche più lungo, ma ci siamo già capiti, no?

Oltretutto, per certi versi siamo tutti inseriti in un meccanismo infernale di illusioni e disillusioni. Per argomentare l’affermazione devo aggiungere due ulteriori elementi. Il primo è che, con la promessa implicita che poi ci sentiremo appagati, siamo costantemente esortati a perseguire obiettivi di qualsiasi tipo, da quelli raggiungibili anche se con qualche sforzo (mangia meglio! Fai più sport! Metti ordine nel caos dei tuoi armadi!) a quelli più difficili da conseguire, perché riguardano, per esempio, il lavoro o il miglioramento delle condizioni economiche. A quelli proprio impossibili (ringiovanisci!).

Chiariamoci: ovviamente le condizioni economiche contano moltissimo. Ma, come spiega il World happiness report (il rapporto sulla felicità nel mondo), esse contano tanto meno quanto più i bisogni primari sono già soddisfatti. Questo dovrebbe incoraggiare chi ha già molto a essere più generoso con chi ha poco (tra l’altro: la generosità è qualcosa che rende effettivamente felici).

Il secondo elemento è connesso con il primo, e riguarda l’identificazione tra maggiori consumi e maggiore felicità. Il meccanismo è semplice: per vendere un prodotto, spesso non se ne vantano specificamente le caratteristiche positive e distintive (qualche volta, tra l’altro, non ce ne sono proprio) ma ci si arrampica sullo specchio dei massimi sistemi.

La delusione della meta
Così, un’automobile diventa garanzia di libertà. Un surgelato diventa sinonimo di gioia condivisa in famiglia. Poi uno compra quella e questo e, accidenti, non si sente né più libero né più gioioso. Frustrazione.

Tutto questo, ovviamente, non significa che non dobbiamo darci degli obiettivi. È una vita misera quella di chi non ha mete né desideri né aspirazioni per il futuro: letteralmente, una vita “senza scopo”. Ma come la mettiamo con l’apparente paradosso che avere obiettivi ci rende felici, e che dopo averli raggiunti ci sentiamo (fatalmente, sembrerebbe) delusi?

Le persone che hanno la propria felicità come obiettivo tendono a essere mediamente meno felici delle altre

Possiamo fare diverse cose. Per esempio, sceglierci da soli mete e obiettivi, invece che farceli imporre dalle convenzioni e dalla pressione dei mass media. Darci obiettivi diversi, che riguardino non solo le prestazioni individuali ma anche le relazioni sociali.

A questo proposito, un lungo e dettagliato articolo su MindTools identifica altri ambiti nei quali, al di là della carriera e della sicurezza economica, varrebbe la pena di darsi obiettivi: dalla famiglia (amici compresi), al benessere, al migliorare la propria istruzione, alle cose piacevoli della vita.

Posso solo aggiungere che una delle cose piacevoli è, ogni tanto, ricordare di guardarsi attorno stando attenti per davvero a quel che si vede. Un’altra è ricordarsi di stare, anche per soli quindici secondi, attenti al proprio respiro. Dai, questi sono obiettivi raggiungibili.

E poi: dovremmo comunque ricordarci che, come dimostrano diverse ricerche, le persone che hanno la propria felicità come obiettivo tendono a essere mediamente meno felici delle altre.

Se tutto ciò sembra complicato, vi suggerisco un trucco: coltivare un po’ di sense of humor può aiutare a fare tutte queste cose, tutte insieme. E anche a godersi il viaggio mentre si procede verso una meta, sapendo che poi ce ne sarà un’altra da scegliere, e un’altra ancora, e che l’aspetto emozionante è esattamente questo.

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