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Un patto con il diavolo in Siria?

A Duma, a est di Damasco, in Siria, il 30 agosto 2015. (Abd Doumany, Afp)

Per sconfiggere Hitler le democrazie dell’epoca dovettero allearsi con Stalin, che non era esattamente un campione della democrazia. Per facilitare lo sbarco in Sicilia gli Stati Uniti si appoggiarono alla mafia, rafforzandola. La storia è, e sarà sempre, piena di momenti in cui è necessario scegliere il male minore. Ma allora non si capisce perché non allearsi con Bashar al Assad per sconfiggere lo Stato islamico.

Non si tratta di una questione morale, per quanto il capo del regime siriano sia un individuo abominevole. Successore di Hafez al Assad, Bashar guida un clan familiare che da 40 anni elimina tutti gli oppositori, fa regnare il terrore e si appropria di tutte le ricchezze del paese.

Affabile, sorridente e sempre elegante, quando la primavera araba ha coinvolto la Siria ha ordinato lui ai soldati di sparare sulle manifestazioni pacifiche. È stato lui a radicalizzare la protesta rifiutando di dialogare, praticando la tortura, facendo radere al suolo città intere e scaricando tonnellate di esplosivi sui civili. È stato lui, soprattutto, a scarcerare dall’estate del 2011 i jihadisti più sanguinari, gli stessi che hanno poi formato lo Stato islamico, per contrastare i ribelli democratici e presentarsi al mondo come unico baluardo contro l’estremismo islamico.

Questo è stato il crimine più spaventoso di Bashar al Assad. Ma ora che il gioco gli si è ritorto contro e il mostro da lui creato minaccia la periferia di Damasco, è arrivato forse il momento di tapparsi il naso e allearsi con lui? La risposta sarebbe sì, se solo questo potesse servire a mettere fine a questa guerra. Ma purtroppo non è così.

Fuori da Damasco, il regime siriano controlla solo una piccola parte del territorio siriano. Non solo il clan Assad è ormai una delle tante fazioni in campo, ma nessuno dei componenti dell’opposizione vorrebbe formare un governo di transizione sotto l’autorità del dittatore.

Un’alternativa senza sostenitori

A questo punto, né la maggioranza sunnita della popolazione né i paesi sunniti della regione sono disposti ad accettare una permanenza di Assad al comando, perché questo permetterebbe il predominio della minoranza alauita, la corrente dello sciismo a cui appartiene il regime.

Assad non è più un’opzione, e alleandosi con lui non faremmo altro che rafforzare lo Stato islamico, che per molti sunniti è ancora una scelta preferibile alla sottomissione al regime.

A meno che iraniani e russi non accettino la sostituzione di Assad con una personalità concordata (anche alauita) non ci sarà soluzione politica a questa crisi.

Per questo bisogna continuare a percorrere la via della diplomazia. È necessario parlare agli iraniani e ai russi, ma nel frattempo la soluzione non arriverà dagli attacchi contro i jihadisti che Francia e Regno Unito hanno deciso di effettuare in territorio siriano.

Questi attacchi sono sicuramente indispensabili per debellare i terroristi, ma l’unica soluzione reale è quella di creare alla frontiera turca una zona protetta (dal regime e dallo Stato islamico) dove accogliere i rifugiati, costruendo attraverso le elezioni un governo alternativo. È l’opzione sostenuta da Washington, ma in questo momento nessuno, a cominciare dagli americani, è pronto a realizzarla.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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