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Essere più umani

Rob Lewine, Getty Images

Dear daddy, mi aiuti a rispondere in modo elegantemente ironico a chi tuttora, quando asserisco con indubbio orgoglio di avere tre figlie femmine, ormai grandi, mi chiede se cercavo il maschio?–Una tua fan

Se racconti di un divorzio, chiedono: “Ma c’è qualcun altro?”; se una coppia non ha figli si sente dire: “E a quando un erede?”; se si tratta di una famiglia con due mamme, chiedono: “Chi delle due è la madre?”. Queste frasi automatiche senza un briciolo di tatto sono un vizio durissimo a morire. Sono dette tanto per dire, come intercalari, ma se ti fermi ad analizzarne il significato fanno venire la pelle d’oca.

Quando le mie figlie gemelle erano piccole, mi succedeva spesso che qualcuno sentisse il dovere di dirmi quale preferisse. Con due sorelle nessuno avrebbe azzardato un paragone, ma per qualche motivo con le gemelle si sentivano autorizzati a stilare una graduatoria. E quindi a chi mi diceva: “Lei è la mia preferita!”, rispondevo con entusiasmo: “Anche la mia!”. A quel punto l’interlocutore si rendeva conto della cosa scorretta che aveva detto. Queste frasi sono quasi riflessi condizionati e non bisogna colpevolizzare troppo chi ci cade, ma vanno pazientemente corrette tutte le volte. A chi ti chiede se cercavi il maschio, io risponderei: “Quello lo cerco ancora, possibilmente giovane e ben messo”. Ma siccome tu sei molto più elegante di me, potresti dirgli: “Non cercavo né maschi né femmine: puntavo soprattutto a degli esseri umani”. Sperando che quell’aggettivo risvegli un certo senso di umanità in chi ti parla.

Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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