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Manuale di autodistruzione per popstar

Un concerto dei Soft Cell a Chicago, 14 novembre 1983. (Paul Natkin, Getty Images)

Nel 1984 i Soft Cell sono senza dubbio delle pop star. La loro Tainted love (cover synth pop di un oscuro brano northern soul di Gloria Jones) è stata un successo planetario e il duo è ormai famoso come i Culture Club, gli Eurythmics, i Duran Duran e tutti gli altri artisti della cosiddetta seconda british invasion. Marc Almond e Dave Ball però si accorgono di odiare quel tipo di successo più di ogni altra cosa. Nella sua autobiografia Almond ricorda che a metà anni ottanta se entrava in un negozio e sentiva Tainted love passare alla radio gli veniva da vomitare. Certo, volare in prima classe a New York per un’apparizione televisiva piace anche ai Soft Cell, ma gli piace ancora di più presentarsi davanti ai giornalisti americani strafatti di ecstasy (all’epoca una novità della scena newyorchese) o andare a registrare puntate di Top of the pops in evidente stato confusionale. Almond ricorda un’occasione in cui registrava in playback davanti a un pubblico di comparse alla moda ed era terrorizzato perché le pareti dello studio televisivo si stavano squagliando. Evidentemente l’lsd non è la droga giusta per una pop star dei primi anni ottanta che tiene alla sua carriera.

Almond e Ball sono rimasti i due avanzi di scuola d’arte che erano alle origini, due punk di provincia appassionati di horror di serie B, di cinema sperimentale, di body art truculenta e di amfetamine. Quando registrano This last night… in Sodom sanno già che sarà il loro ultimo album come Soft Cell e vogliono andarsene con un botto. In studio fanno l’opposto di quello che il loro manager li supplica di fare: registrano tutto in mono e si ricollegano alle loro radici: i Suicide, il protopunk dei New York Dolls e i cabaret di drag queen di Soho. I temi delle canzoni non sono esattamente rassicuranti o commerciali: autolesionismo, suicidio, ansia adolescenziale, sesso con sconosciuti e pulsioni omicide. I due singoli tratti dall’album (mettiamoci per un momento nei panni di un’etichetta discografica che deve spingere questa roba in radio) sono Soul inside, un torrenziale inno al bipolarismo e Down in the subway, un pezzo vagamente rockabilly che parla di un tizio che si butta sui binari della metropolitana.

Eppure This last night… in Sodom è paradossalmente l’album più affascinante dei Soft Cell. Nello stesso periodo in cui i Depeche Mode affinano la loro estetica post-industriale con l’album Some great reward, i Soft Cell si sabotano in maniera spettacolare con un disco sghembo, zozzo e che puzza di sudore, birra rancida, lenzuola sporche e popper. Nonostante il caos in cui è immerso, l’album ha almeno due momenti memorabili: Meet murder my angel, scritta dal punto di vista di un serial killer che sta per uccidere con dolcezza la propria vittima, e soprattutto L’Esqualita, una ballata latineggiante che descrive un night club frequentato da avanzi di galera e da travestiti che hanno visto tempi migliori. This last night… in Sodom è un album prezioso perché fa vedere ancora oggi di cosa è capace la pop music quando si ritorce contro se stessa.

Soft Cell
This last night… in Sodom
Polygram, 1984

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