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La mitologia personale di Lhasa de Sela

Lhasa de Sela. (Ryan Morey)

La prima volta che si ascolta La llorona, l’album di debutto della cantautrice statunitense naturalizzata canadese Lhasa de Sela (1972-2010), si rimane spiazzati. Ricordo che all’epoca me lo raccontai come Anime salve di De André cantato da una Nick Cave donna di lingua spagnola. Ma forse perché Anime salve era uscito da poco. Poi ci ho visto la Pj Harvey di To bring you my love che vaga nel deserto del Nuovo Messico con la sola compagnia di un mazzo di tarocchi di Marsiglia. E poi ancora ho immaginato un circo in cui, tra clown e giocolieri, si esibisse la Linda Ronstandt di Canciones de mi padre, con polvere e segatura impastata al glitter del suo trucco e alle paillette dei suoi costumi da mariachi. La llorona può sembrare tutte queste cose e mille altre, ma qualunque tentativo di paragonarlo a qualcosa che già esiste è destinato a fallire.

Sicuramente non è quello che ci è stato detto che era quando uscì, ovvero un disco di world music. La sua stessa autrice ha respinto con forza quell’etichetta anglocentrica. Il solo fatto che fosse statunitense (nata a Big Indian, New York, nel 1972) naturalizzata canadese e che nel suo primo album cantasse in spagnolo la rendeva difficilmente classificabile. Eppure Lhasa, pur essendo stata sempre nomade e fondamentalmente apolide, era nordamericana a tutti gli effetti. E la sua sensibilità era quella di una giovane donna dei suoi tempi, per quanto lontana dalla norma.


I dettagli della complicata vita familiare di Lhasa de Sela sono raccontati nel libro Why Lhasa de Sela matters di Fred Goodman. Suo padre Alejandro de Sela è uno studioso di lingua e letteratura messicana, un hippy, un filosofo e un mistico. La madre Alexandra Karam è un’attrice e fotografa, figlia dell’attrice Elena Karam, già protagonista di America America di Elia Kazan. I genitori di Lhasa avevano una relazione passionale e tumultuosa, e rifiutavano radicalmente lo stile di vita consumistico americano. Hanno cresciuto i loro figli (Lhasa aveva sei sorelle e cinque fratelli) in uno scuolabus sempre in viaggio a zig zag tra Stati Uniti e Messico. Alexandra aveva due figlie da un’unione precedente che Elena le aveva fatto togliere considerandola una drogata inadatta a crescere due bambine.

Né Lhasa né le sue sorelle e fratelli sono mai andati a scuola, ma hanno ricevuto un’eclettica preparazione dai loro genitori che, non senza severità, le sottoponevano a lezioni e interrogazioni di storia, geografia, filosofia, letteratura e musica. I pochi contatti che Lhasa ha avuto con la scuola tradizionale erano frustranti: lei in certe materie era molto avanti rispetto ai suoi coetanei ed era, fin da bambina, una gran lettrice. Nella vita girovaga dei de Sela non esistevano né televisione né, quando sono arrivati, videogiochi. Alexandra e Alejandro tra loro parlavano spagnolo o inglese e Lhasa era molto attratta dalla lingua e dalla cultura del padre, molto più che da quella della madre con la quale non ha mai avuto un rapporto facile. Quando i genitori si separano Lhasa ha 13 anni e si attacca ancora di più al padre, con il quale continua, insieme ai suoi fratelli, quella vita girovaga e picaresca.

La leggenda della llorona
Grazie al padre scopre la canción ranchera, un popolare genere messicano, e s’innamora della voce e della figura di Chavela Vargas (1919-2012), leggendaria cantante costaricana famosa per le sue interpretazioni piene di sentimento e di disperazione, oltre che per i suoi abiti da uomo e la sua omosessualità mai nascosta. Nel repertorio di Chavela Vargas c’è una canzone molto famosa e sentimentale chiamata La llorona, “la donna che piange”, che Lhasa amava particolarmente. Il padre le raccontava anche la leggenda messicana della llorona, lo spettro di una donna disperata che, per gelosia verso il marito traditore annega i suoi figli e vaga piangendo di notte chiedendo dove siano i suoi bambini. Llorona è anche il nome di un vento particolarmente violento che quando soffia attraverso le vie di certe città messicane sembra gridare.

Alejandro le racconta anche che la leggenda della llorona aveva antiche radici precolombiane: era una sorta di Cassandra azteca che vagava scarmigliata per Tenochtitlán, la capitale del regno, prevedendo l’arrivo degli sterminatori spagnoli. Nessuno le credeva e lei si struggeva chiedendosi che ne sarebbe stato dei figli di tutti. La giovane Lhasa è affascinata da queste leggende che parlano di dolori antichi e l’aiutano a confrontarsi con il carico di dolore passato e presente che grava sulla sua strana, tormentata famiglia. La llorona non poteva non farla pensare alla sua stessa madre che, disperata, non poteva più avvicinarsi alle sue prime due figlie che erano rimaste negli Stati Uniti. Questa figura mitica l’aiutava a capire una madre dagli umori volatili e imprevedibili, così affettuosa quando era in buona e così distante quando non lo era.

Appena ventenne Lhasa si trasferisce a Montréal, in Canada, e comincia a esibirsi nei locali cantando canzoni di Billie Holiday e con la sua voce roca e matura sembra già una consumata donna di spettacolo. Proprio a Montréal conosce un musicista di lingua francese, Yves Desrosiers, con cui comincia a comporre canzoni. Desrosiers conosce bene la chanson francese e non fa fatica a sintonizzarsi con il mondo musicale di Lhasa. Insieme smontano tutta la musica che piace a entrambi e legano i fili, anche molto tenui, che diversi generi possono avere in comune: la chanson francese, la canción ranchera, il bolero, il fado portoghese, ma anche la musica klezmer, quella dei Carpazi e la tradizione gitana. Desrosiers e Lhasa de Sela non sono artisti folk nel senso classico del termine: non sono alla ricerca dell’autenticità di certi suoni ma inseguono un’estetica ibrida, fatta di suggestioni, di leggende e di magia. E questa caleidoscopica consapevolezza estetica viene tutta da Lhasa e dalla sua esperienza di artista apolide, cresciuta in zone di confine ed eternamente in movimento. Per Lhasa la musica è strettamente legata al racconto e il racconto, la leggenda, la magia sono mezzi per navigare nella precarietà che da sempre ha caratterizzato la sua vita. Lhasa de Sela è forse stata l’ultima, autentica bohémienne.

A Montréal Lhasa de Sela lavora con Yves Desrosiers alle canzoni del suo album di debutto La llorona: tra di loro parlano francese e inglese e lei, al microfono, canta solo in spagnolo, la lingua magica di suo padre e la lingua dell’amore dei suoi genitori. Le canzoni della Llorona, ascoltate una dietro l’altra, sembrano un modo per parlare con sua madre e di sua madre con la voce di suo padre. Solo così riesco a spiegarmi il senso di urgenza che ha questa musica ogni volta che la riascolto.

De cara a la pared (Con la faccia al muro) è la canzone che apre il disco. Il suono che sentiamo all’inizio è un’acquazzone, che Lhasa e Yves hanno registrato mettendo un microfono sul davanzale, su cui subito parte un violino sostenuto da un arrangiamento di corde pizzicate. La voce è quella di un’antica profeta che, piangendo, con la faccia al muro, vede la città sprofondare in un lago di fuoco. In questo pezzo è lei la llorona, la Cassandra che singhiozzando prevede la fine della sua civiltà. La sua però è anche una richiesta d’amore – “Te quiero amar” – e una preghiera cristiana – “Santa Maria” – che rimane come sospesa nell’aria sul finire del pezzo. La Celestina nasce da un’altra suggestione del padre: una tragicommedia spagnola della fine del quattrocento scritta da Fernando de Rojas. È una madre che parla con la figlia sofferente per amore e le spiega che l’amore è come un salasso “che a volte cura e a volte uccide” e che chiunque voglia amare deve correre dei rischi. Alex de Sela (il padre Alejandro) compare anche tra gli autori di Floricanto, che rilegge in chiave messicana certe poesie piene di estasi tra il religioso e l’amoroso del mistico spagnolo San Giovanni della Croce. Los peces invece è la rivisitazione di una tradizionale canzone natalizia spagnola, con una melodia di chiara origine saracena. Uno dei pezzi più belli dell’album è Por eso me quedo (Per questo rimango), una canzone a tempo di valzer nello stile del grande interprete ranchero Cuco Sánchez.

È però l’ultimo pezzo quello che forse colpisce di più, El árbol del olvido, l’albero dell’oblio, dal repertorio del grande poeta, maestro e rivoluzionario cileno Víctor Jara (1932-1973). È una vecchia canzone del 1938 che Jara ha cantato, con qualche riadattamento rispetto all’originale, nel suo album Canto libre del 1970. Lhasa de Sela, da bambina, si era innamorata di Victor Jara ascoltando le sue canzoni, pensava che fosse il suo principe azzurro che sarebbe venuto a prenderla per sposarla. Non sapeva, forse i suoi genitori hanno preferito non dirglielo, che quando lei aveva appena un anno, subito dopo il colpo di stato di Augusto Pinochet, Víctor Jara era stato catturato, torturato e ucciso per le sue idee comuniste. Lhasa prende questo vecchio pezzo e lo trasforma in una sorta di lamento, incastonandolo nella sua mitologia personale, in mezzo alle sue canzoni d’amore e di disperazione, di follia e di redenzione, di rapimento mistico e di rinascita.

Dopo il successo inatteso della Llorona Lhasa si è presa qualche anno per riflettere: si è unita al circo delle sue sorelle e ha cantato in Europa e in Canada accompagnando i loro numeri di funambolismo, di equilibrismo e di mimo. Prima di morire di cancro, ad appena 37 anni, il 1 gennaio del 2010, è riuscita a incidere altri due album: The living road (2003) e Lhasa (2009).

Lhasa de Sela
La llorona
Audiogram/Atlantic, 1997

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