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La principessa Diana e il sessismo dei giornali

La principessa Diana Spencer a Liverpool, il 30 maggio 1993. (Tim Graham, Getty Images)

In questi giorni siamo sommersi da programmi televisivi e articoli dedicati alla principessa Diana Spencer, morta il 31 agosto 1997. I mezzi d’informazione non ci hanno risparmiato nessun dettaglio della vita della principessa: l’infanzia, i figli, la bulimia, i vestiti, le borsette, la dieta, i gioielli, gli amanti e, soprattutto, il comportamento del principe Carlo e degli altri reali nei suoi confronti.

Molte di queste cose le abbiamo già lette in occasione dei precedenti anniversari della morte. L’unica novità è stata la pubblicazione, a luglio, del contenuto di alcuni nastri registrati dalla persona che le insegnava a parlare in pubblico. In queste registrazioni Diana dichiarava che lei e Carlo si erano visti solo tredici volte prima di sposarsi, che prima che il loro matrimonio andasse all’aria il principe voleva fare sesso solo ogni tre settimane e che, quando lo aveva messo alle strette a proposito della sua frequentazione con Camilla Shand, aveva risposto che si “rifiutava di essere l’unico principe di Galles senza un’amante”.

L’ossessione dei mezzi d’informazione di tutto il mondo per Diana Spencer non è diminuita, anche se solo i lettori che hanno più di trent’anni si ricordano bene quanto era famosa la principessa negli anni novanta. A vent’anni dalla sua morte, il suo viso e il suo nome su un giornale o sulla copertina di una rivista fanno vendere ancora molte copie.

Un’altra Marilyn
L’unico personaggio a cui è paragonabile è l’attrice Marilyn Monroe, che a 55 anni dalla sua morte è ancora capace di ispirare articoli, “rivelazioni”, e libri (su di lei ne sono stati pubblicati di più che su qualsiasi altra donna in tutta la storia). In vita (e in morte), queste due donne sono state (e sono) trattate dai giornali e dalle televisioni non solo come celebrità, ma come leggende.

Il fascino che esercitano è dovuto in parte al fatto che entrambe sono morte in circostanze così strane da alimentare le teorie del complotto. Le circostanze del suicidio di Marilyn, combinate con i suoi rapporti con il presidente Kennedy e suo fratello Robert, hanno fatto nascere delle ipotesi di omicidio. E la grande popolarità di Diana dopo il divorzio, a discapito della famiglia reale, ha suscitato il sospetto che l’incidente d’auto nel quale è morta non sia stato un incidente.

Io non ci ho mai creduto. L’autista era spericolato, e forse ubriaco, e quelli che credono alla teoria dell’omicidio mi devono spiegare come avrebbero fatto gli assassini (sempre identificati come uomini dei servizi segreti) a convincere Diana e il suo amante, Dodi al Fayed, a non indossare le cinture di sicurezza. Se lo avessero fatto, visto che erano seduti entrambi sul sedile posteriore di quella Mercedes, sarebbero sopravvissuti. Dopotutto la sua guardia del corpo la portava e, anche se era seduta davanti, non è morta.

Nei mezzi d’informazione domina quello che io chiamo il fascismo della bellezza

E le leggende su Diana non finiscono qui: in questi anni si è detto che lei e Dodi si erano fidanzati la sera prima dell’incidente, che la sua tomba è vuota, che ha avuto una storia con il figlio del presidente Kennedy e che quando è morta aspettava un figlio da Fayed. È stato dimostrato che sono tutte sciocchezze, ma hanno continuato a circolare lo stesso.

Sia Marilyn sia Diana sono morte giovani, quando la loro bellezza era ancora intatta, quindi gli articoli potevano essere accompagnati da immagini affascinanti. Non sarebbe stato lo stesso se avessero vissuto abbastanza da diventare vecchie. Dubito che Diana susciterebbe ancora tanta attenzione se somigliasse a Camilla e che Marilyn incanterebbe ancora i lettori senza le sue curve.

Nei mezzi d’informazione domina quello che io chiamo il “fascismo della bellezza”: l’attrazione che il direttore, maschio, prova per il protagonista di una notizia determina quello che si pubblica e quanto spazio gli viene dato. I giornalisti mi parlano spesso di articoli rifiutati da un giornale perché il direttore pensava che la persona al centro delle notizie non fosse abbastanza sexy o abbastanza ricca.

Con Diana non c’è mai stato questo pericolo. L’ho incontrata e aveva quel magnetismo che faceva girare tutti gli sguardi dalla sua parte. Non le ho mai parlato, ma ho conosciuto diverse persone che partecipavano ai pranzi che organizzava all’inizio degli anni ottanta. Dicevano tutti che a tavola lanciava agli uomini lunghi sguardi sotto quella sua frangetta che gli facevano credere, in un momento di follia, che fosse interessata a loro. Solo alcuni egocentrici erano convinti che stesse flirtando davvero con loro, gli altri erano arrivati alla conclusione che fosse un’abitudine inconscia. Era stata un’adolescente insicura figlia di separati e sembra che lo sia sempre rimasta.

Marilyn Monroe – figlia illegittima, adottata, violentata da piccola – aveva le stesse fragilità. Questo, secondo me, è il motivo per cui i giornalisti sono così ossessionati da Diana e Marilyn. Corrispondono all’idea misogina che i direttori dei giornali si fanno di alcune donne: belle, emotivamente immature, sessualmente travolgenti e vulnerabili. Forse non è sessismo consapevole, ma è comunque sessismo.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 agosto 2017 a pagina 30 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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