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La presidenza Macron fa i conti con il suo lato oscuro

Emmanuel Macron con Alexandre Benalla (alla sua destra) durante la campagna presidenziale ad Amiens, Francia, il 26 aprile 2017. Al tempo Benalla era la sua guardia del corpo. (Eric Feferberg, Afp)

Due collaboratori della presidenza della repubblica, Alexandre Benalla e il suo socio Vincent Crase, sono stati colti con le mani nel sacco: falsi poliziotti ma veri picchiatori di manifestanti durante le proteste del 1 maggio 2018. Non è da escludere che questi irregolari protetti dall’Eliseo siano più numerosi, come suggerisce il mistero di un terzo uomo, Philippe Mizerski, anche lui presente durante le manifestazioni.

Non è da escludere neppure che anche i loro misfatti siano più numerosi, come
dimostrano la loro facilità a imporsi sulle forze di polizia impegnate sul campo, la loro capacità di sottoporre a fermo i manifestanti vittime dei loro colpi e i loro contatti all’interno della prefettura di polizia, che gli permettono di ottenere informazioni.

Sembra quindi che la presidenza Macron abbia privatizzato le operazioni di ordine pubblico. Dopo essere stata la prima manifestazione sindacale per la festa dei lavoratori a essere divisa e vietata, con il pretesto della presenza di casseur vicino al ponte di Austerlitz, il 1 maggio 2018 abbiamo assistito anche a questa innovazione: del personale dell’Eliseo che, infiltrato in seguito a ordini provenienti dall’interno del dispositivo di polizia, non ha esitato ad agire come agente provocatore.

E che, nonostante i vertici fossero a conoscenza dei loro comportamenti, sono stati protetti per oltre due mesi e mezzo da tutto l’apparato statale, dalla presidenza fino ai suoi ministri, come quello dell’interno, e le sue istituzioni, come la prefettura di polizia. Difficile trovare un precedente, se si esclude il clima da servizi segreti paralleli successivo al 1968, quando era proprio lo stato a orchestrare la violenza che sosteneva di combattere.

Alexandre Benalla si rivela un personaggio centrale dell’avventura presidenziale di Macron

Le immagini girate il 1 maggio in piazza della Contrescarpe, nel quinto arrondissement di Parigi, mostrano in azione degli aguzzini e non dei servitori della repubblica. Di quelli che menano facilmente le mani e che fanno comodo durante i colpi di mano politici. Questi dilettanti usciti dai ranghi scimmiottano i professionisti della sicurezza, senza accettarne però i limiti.

Per loro l’ordine può tranquillamente fare a meno della legge e spesso si servono del disordine per i loro obiettivi. Scagnozzi che se ne infischiano delle regole e delle convenzioni, ambiziosi passati dai servizi d’ordine di organizzazioni militanti ai palazzi presidenziali, e protetti poi da permessi speciali, con il servizio di sicurezza dell’Eliseo ad autorizzare questa scorciatoia amministrativa, sono la prova di questo sistema criminale che si nasconde nelle pieghe oscure di una politica ostaggio dell’ossessione del potere.

Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che la cronaca mette in evidenza fino a che punto il potere personalizzato che caratterizza l’assolutismo presidenziale francese si porti dietro una corte ambigua e improbabile di persone abili e di parvenu, che offrono al potere i propri talenti e la loro audacia illegali.

Ma è più raro scoprire questi suoi protagonisti nel cuore del dispositivo di stato e non più ai suoi margini. Messo improvvisamente sotto le luci dei riflettori, Alexandre Benalla si rivela in realtà un personaggio centrale dell’avventura presidenziale di Emmanuel Macron. Dalla campagna elettorale al palazzo dell’Eliseo, altre immagini lo mostrano onnipresente e indispensabile, vicinissimo al candidato di ieri e capo dello stato di oggi. La ragione è semplice: non è un collaboratore di Emmanuel Macron come tutti gli altri.

Con il titolo di capo di gabinetto, Alexandre Benalla era il “signor sicurezza” del capo di stato, incaricato di proteggere i suoi segreti e la sua intimità. Uomo di fiducia, alloggiava al quai Branly in una dépendance dell’Eliseo, la stessa nella quale l’ex presidente François Mitterrand aveva sistemato le protagoniste della sua vita privata, tenuta nascosta per così tanto tempo, ovvero sua figlia Mazarine Pingeot e la madre. Oltre al fedele collaboratore che ne fu il guardiano fino al suo suicidio nel 1994, lo stravagante François de Grossouvre.

Una verità evidente
Lungi dall’essere relegato in secondo piano, Alexandre Benalla dimostrava spesso e volentieri la sua importanza nel dispositivo presidenziale, come ha potuto constatare Mediapart al palazzo di Chaillot, in occasione dei sopralluoghi precedenti all’intervista con Emmanuel Macron del 15 aprile 2018. Con il pretesto della sicurezza, Benalla voleva decidere personalmente come organizzare l’incontro, senza che nessuno, all’Eliseo, lo rimettesse al suo posto.

Il panico che oggi si diffonde nella corte di Macron e tra i deputati di La république en marche non potrà facilmente dissipare questa verità evidente: per scelta e per volontà dello stesso presidente della repubblica, Alexandre Benalla aveva uno spazio tanto smisurato quanto incomprensibile, visti il suo percorso personale e il dispositivo di sicurezza.

Come spiegare che un giovane uomo che ha come unica esperienza quella nel servizio d’ordine del Partito socialista e poi di En marche! potesse occupare con una tale libertà, e pari irresponsabilità, un ruolo così importante? Come giustificare la sua funzione di sicurezza, stranamente occultata nell’organigramma ufficiale, quando esiste un’unità specializzata dotata di grandi mezzi, ovvero il Gruppo di sicurezza della presidenza della repubblica (Gspr), composta di gendarmi e poliziotti, tutti professionisti dotati d’esperienza?

Durante le manifestazioni a Parigi, il 1 maggio 2018.

Ancor prima che fossero rivelati i suoi atti, Alexandre Benalla era al di fuori del diritto comune, dell’ordinaria amministrazione e del quadro amministrativo. È per questo che le sue azioni personali chiamano in causa la responsabilità politica di colui che l’ha scelto e nominato: Emmanuel Macron, e nessun altro. Solo questa scelta presidenziale, tra capriccio monarchico e desiderio personale, può spiegare l’indulgenza e la protezione di cui ha goduto il suo “signor sicurezza”, dopo i fatti del 1 maggio. Nel momento stesso in cui era passibile d’incriminazione per vari reati, come colpi e ferite volontari (articolo 222-13 del codice penale), ingerenza nell’esercizio della funzione pubblica (articolo 433-12) e così via, veniva coperto dall’apparato statale.

Campanello d’allarme
Noto per il suo rigore nelle sue precedenti funzioni di prefetto, il capo di gabinetto Patrick Strzoda ha dovuto invece accontentarsi di una sanzione benevola, appena due settimane di sospensione. La versione che oggi, per bocca del portavoce della presidenza, tenta di giustificarlo, non sembra preoccuparsi della verosimiglianza, poiché sostiene che Alexandre Benalla il 1 maggio fosse in congedo.

Come se un dipendente potesse prendere dei congedi in un giorno già di per sé festivo. Non solo non è stato automaticamente licenziato per giusta causa, rimanendo al contrario all’interno del personale dell’Eliseo, ma non è stata neppure interpellata la giustizia, nonostante l’articolo 40 del codice di procedura penale lo imponesse: “Ogni autorità costituita, ogni pubblico ufficiale o funzionario che, nell’esercizio delle sue funzioni, venga a conoscenza di un reato o di un crimine è tenuto a comunicarlo immediatamente al procuratore della repubblica e di trasmettere a tale magistrato tutte le informazioni, i processi verbali e gli atti a esso relativi”.

L’affaire Benalla è molto più di un incidente di percorso di un collaboratore dell’Eliseo

Mentre il ministero dell’interno non fiatava, nonostante fosse chiamata in causa l’integrità della polizia, l’ufficio di gabinetto dell’Eliseo faceva finta di nulla, prendendo tempo e sperando, fino alle rivelazioni di Le Monde della sera del 18 luglio, che non filtrasse nulla affinché tutto potesse continuare come prima. In un sistema nel quale le imprudenze, gli sbagli e gli errori del principe si ripercuotono su tutti quanti lo servono, ci si è fatti beffa della repubblica francese dall’inizio alla fine. Solo il sostegno cieco del presidente in persona può spiegare perché l’autore di questi reati così evidenti abbia goduto di una simile protezione.

L’affaire Benalla è molto più di un incidente di percorso di un collaboratore dell’Eliseo. È un campanello d’allarme per la deriva di questa presidenza verso un potere ancor meno condiviso del capo di stato, sempre più autoritario, con continui colpi di mano, e diretto verso un presidenzialismo rafforzato della quinta repubblica, che ignora i contropoteri, cancella il primo ministro e tiene in scacco il parlamento, umiliando gli oppositori e disprezzando la società.

Questo perché quando il potere assume toni personalistici, la polizia deviata è al suo servizio. Proteggendo i suoi segreti, nei quali spesso si mescolano interessi pubblici e vita privata, questa impone una sua legge che, prendendo a pretesto la ragione di stato, sfugge alla legge. Non sapremo mai quale sarebbe stato il seguito dell’avventura all’Eliseo di Alexandre Benalla e del piccolo gruppo di persone che lo circondavano, anche se s’intuisce che nessuna regola etica o principio morale gli avrebbero impedito di perseguire i suoi fini, discreditare le opposizioni politiche e tenere a freno le curiosità giornalistiche.

Il precedente di Mitterrand
Ma quel poco che sappiamo ricorda comunque un precedente, dai contorni apparentemente diversi, che, non essendo stato smascherato in tempo, ha avuto il tempo di fare molti danni: la cellula dell’Eliseo, all’inizio del primo mandato settennale di François Mitterrand, vero e proprio servizio privato di sicurezza e d’informazioni.

Rapidamente riconvertitosi al potere personale che denunciava quando era all’opposizione, il primo presidente socialista della quinta repubblica ha preso a pretesto alcuni argomenti di sicurezza, come il terrorismo, per creare una sua personale guardia, un servizio speciale consacrato alla protezione di quel che voleva assolutamente nascondere e, anche, di quel che voleva assolutamente sapere.

Colpito da un cancro poco dopo la sua elezione del 1981, Mitterrand riuscì in questo modo a nascondere la sua malattia fino agli ultimissimi anni della sua lunga presidenza, durata 14 anni. Allo stesso modo riuscì a proteggere la sua doppia vita, mostrando pubblicamente la sua famiglia ufficiale e nascondendo la sua famiglia ufficiosa nei palazzi della repubblica francese fino al giorno in cui, tardivamente, decise di rivelare pubblicamente, e personalmente, la loro esistenza.

In questa privatizzazione del potere, la scusa di proteggere la vita privata consente l’assoluta segretezza e l’abuso di potere. È così che, conoscendo i segreti intimi del presidente, la cellula dell’Eliseo dell’epoca di Mitterrand si rese famosa per le intercettazioni illegali di oppositori, avvocati, giornalisti e altre figure, cui si aggiunsero molte altre infrazioni rese possibili dal salvacondotto presidenziale di cui godeva. Anche quella cellula agiva in combutta con alcuni ambienti polizieschi, sfruttava la sua autorizzazione presidenziale per imporsi sui servizi d’informazione e teneva insieme un gruppo di tirapiedi tanto nocivi quanto goffi.

L’affaire Benalla svela la tentazione macroniana di un servizio di sicurezza privato all’Eliseo ed emerge giusto in tempo per evitare la proliferazione di questo abuso di poteri. Ma rivela anche come questo presidente eletto con la promessa di una “profonda rivoluzione democratica”, ne sia in realtà la negazione.

La necessità di farsi da parte
Quasi due anni dopo la pubblicazione di Révolutions suonano ipocrite frasi come “è proprio la responsabilità che può contribuire a restaurare quel poco di morale collettiva di cui abbiamo tanto bisogno”. In questo libro Emmanuel Macron affermava che “la responsabilità finale è politica” e che, in quest’ottica, “alcuni errori ti screditano in maniera radicale”.

Tra queste, oltre al finanziamento politico, che riguarda direttamente l’indagato Nicolas Sarkozy, recentemente invitato nel suo aereo privato di ritorno da Mosca, l’attuale presidente della repubblica citava i “danni all’amministrazione pubblica” e quelli “all’autorità dello stato”, due violazioni emblematiche dell’affaire Benalla.

“In tali casi, bisogna avere la decenza di farsi da parte”, concludeva l’uomo che ha rifiutato che il suo “signor sicurezza” fosse allontanato dall’Eliseo all’indomani del suo violento abuso di potere. In questo libro di un tempo passato, quello delle promesse che non vincolano a niente, Macron non si risparmia, affermando che “nei confronti delle funzioni pubbliche di più alto livello è legittimo avere maggiori esigenze”.

L’onnipotente segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler, sta forse meditando su questa prudente raccomandazione, ma il suo conflitto d’interessi con la potente e misteriosa compagnia marittima Msc non è per lui fonte d’imbarazzo alcuno.

Per quanto effimere, le luci che avvolgono le vittorie elettorali sono sempre utili per sottolineare le ombre che emergono una volta al potere. “Alcuni errori ti screditano in maniera radicale”, scriveva il candidato Macron. Non è escluso che gli errori del suo pupillo screditino in maniera radicale la sua presidenza.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito Mediapart.

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