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Il Lucca Comics è un grande successo ma esagera con l’infantilismo

Il pubblico del Lucca Comics & Games in piazza San Martino, il 29 ottobre 2016. (Filippo Aiazzi, Lucca Comics & Games)

È stato un tutto esaurito con cifre da capogiro Lucca Comics & Games 2016, il festival del fumetto e dei videogiochi che si è tenuto dal 28 ottobre al 1 novembre ed è giunto alla sua cinquantesima edizione. Quasi troppo per una città piccola come Lucca.

Una moltitudine attratta anche dai tanti ospiti di quest’anno, dove le tre figure centrali sono state lo statunitense Frank Miller e gli italiani Milo Manara e Zerocalcare, quest’ultimo anche autore del manifesto di Lucca 2016. I primi due sono stati al centro di un incontro moderato da Matteo Stefanelli, direttore del sito Fumettologica, mentre Zerocalcare ha avuto una bella chiacchierata con Miller sul suo Ritorno del Cavaliere oscuro.

Per tornare ai partecipanti, nemmeno ai festival del cinema si vedono simili masse di persone, compresa Cannes, se si eccettua la zona della Croisette. Ovviamente va tenuto conto di altri elementi, come il fatto che a Cannes la presenza di pubblico è spalmata su più di dieci giorni: in un festival di quella importanza non si ha però lo stesso problema a camminare nelle strade parallele alla Croisette oppure a trovare un posto dove pranzare come ci è capitato invece a Lucca nelle giornate di sabato e domenica.

Forse i mezzi d’informazione nazionali dovrebbero dedicare maggior spazio e attenzione al più antico festival del fumetto al mondo

Domenica 30 ottobre ha registrato il tutto esaurito con 80mila biglietti, per un totale di 271.208 biglietti, e una presenza complessiva di pubblico dentro e fuori le mura di Lucca intorno alle 500mila persone. Se si pensa che nel 2015 i biglietti venduti erano stati 220mila si può subito cogliere il salto compiuto quest’anno dal festival lucchese.
Non può che sorgere sincera ammirazione per un simile risultato. Forse i mezzi d’informazione nazionali dovrebbero dedicare maggior spazio e attenzione al più antico festival del fumetto al mondo, proprio come Venezia lo è per il cinema.

Viaggio a giocattolandia
Se va riconosciuto tutto questo dobbiamo anche dire che sembra di essere un po’ troppo in una sorta di giocattolandia: a un certo punto viene anche un po’ di nausea nel vedere grandi quantità di giovani adulti attratti da tanto infantilismo, con travestimenti da cosplayer e quant’altro. Un po’ tutto nella nostra società sembra spingere acriticamente in questo senso: anche social ampiamente diffusi come Facebook spingono in questa direzione, come notava tempo fa su questo sito Daniele Cassandro.

Proprio in relazione a quanto detto sull’antica e gloriosa storia del festival di Lucca, non bisogna dimenticare che il Salone internazionale dei comics, del cinema d’animazione e dell’illustrazione, nato nel 1965 a Bordighera e poi spostato a Lucca nel 1966, era un luogo in cui si cercava di portare a una maturità adulta il fumetto (insieme all’animazione e all’illustrazione) quanto la sua fruizione, concepita in termini culturali pur senza rinnegare il dialogo con il fumetto popolare, attraendo comunque moltissime persone.

Il Lucca Comics si sente erede di questo spirito – come provano i festeggiamenti per il cinquantenario della manifestazione che è stata diretta per decenni da Rinaldo Traini – e dovrebbe tenerne maggiormente conto. Anche perché i festival equivalenti nel cinema come Venezia, Cannes e Berlino, pur con alcune concessioni al film evento rivolto al grande pubblico, dedicano essenzialmente le loro sezioni all’esplorazione delle nuove frontiere del cinema d’autore.

In Francia (paese dall’enorme mercato del libro a fumetti, popolare e non) il festival internazionale di Angoulême dedica una consistenza ben maggiore alla dimensione culturale. A Lucca questa politica di concessione quasi straripante nei confronti dell’infantilismo, a quel che è più facilmente e immediatamente fruibile – elemento in sé non negativo purché vi sia originalità – la si poteva cogliere in ogni segmento della manifestazione, dalle esposizioni agli incontri, dai dibattiti fino alla premiazione.

I premi
Aver premiato Igort come autore unico (si intende l’autore completo che firma sceneggiatura, dialoghi e disegni e talvolta anche i colori) per i suoi straordinari Quaderni giapponesi di per sé è certamente positivo: lo è di meno considerando che si tratta di una delle poche opere profonde premiate e certamente l’unica di grande livello.

Un peccato se si pensa che nella selezione, lacunosa anche quella, figurava almeno un altro capolavoro, costato anni di lavoro in umile solitudine, il voluminoso Sputa tre volte di Davide Reviati (Coconino press). Era infatti eccessivamente presente Bao publishing e troppo poco spazio hanno avuto gli altri editori, a cominciare da quelli di fumetto d’autore: Coconino, Rizzoli Lizard, edizioni Eris eccetera.

Zerocalcare premia il migliore gioco di ruolo dell’anno, il 28 ottobre 2016.

I titoli Bao premiati sono tutti belli e meritevoli, ma più o meno tutti di una certa leggerezza: tra questi l’unico che riesca al cento per cento a unire la leggerezza con la profondità è L’estate Diabolika. Anche perché il disegnatore Alexandre Clérisse, come egli stesso ha riconosciuto in un toccante e umile video proiettato durante la premiazione, è ottimamente diretto nel creare immagini realmente provenienti dall’interiorità dietro l’apparente gioco pop da Thierry Smolderen, prolifico sceneggiatore che nella sua veste di storico e teorico del fumetto ha da sempre l’abitudine d’indagare la profondità dell’immagine nel fumetto, da Winsor McCay a Stefano Ricci, passando per Milton Caniff.

E a proposito di autori classici come Caniff (del quale Cosmo, casa editrice dalla straordinaria politica editoriale di cui dovremo riparlare, sta riproponendo sia Steve Canyon sia Terry e i pirati in eccellenti edizioni) e, sempre in relazione alla storia di questo festival, non sarebbe cattiva cosa un premio al patrimonio, cioè alle ristampe, come succede ad Angoulême, visto che gran parte degli editori si sta lanciando nelle riedizioni storiche con successo, in termini sia di cura editoriale sia di vendite.

La poesia di Casty
Sulle esposizioni a palazzo Ducale ci soffermiamo solo su quelle che riguardano il fumetto. L’esposizione più bella, e l’evento più emozionante insieme alla presenza di Frank Miller, è quella dedicata a un disegnatore e sceneggiatore della Disney italiana di oggi: Casty. Abbiamo guardato più volte la mostra, ci siamo emozionati come bambini, come non ci capitava da tempo, per un fumetto popolare, lasciandoci pervadere dalla poesia delle sue tavole, espressione di un mondo autentico e interiore, intrise dello sguardo dell’infanzia che purtroppo si tende a confondere con l’infantilismo dal quale invece è sano prendere un minimo di distanza. Anche perché, se lasciato a briglia sciolta, l’infantilismo finisce per colpire proprio gli autori più innovativi come Casty.

Innamorato di disegnatori come lo statunitense Floyd Gottfredson – autore delle grandi storie di Topolino degli anni trenta (almeno in parte), quaranta e cinquanta – o di autori Disney italiani come Luciano Bottaro e Romano Scarpa (di cui riprende diversi personaggi), autore completo e sceneggiatore per altri disegnatori, in storie come Topolino e gli ombronauti (2012), Tutto questo accadrà ieri (2016, con la collaborazione di Massimo Bonfatti) o Topolino e l’impero sottozero (2015), Casty ritrova e reinventa, anche mediante sceneggiature e layout di precisione certosina, stilemi, ambientazioni, tematiche e personaggi di quegli autori come potrebbe farlo un poeta.

Il dottor Enigm e gli ombronauti hanno qualcosa delle maschere del muto, sembrano quasi riletti e trasfigurati da un poeta del fumetto d’autore che ha però conservato il senso ludico, come in Francia il recente capolavoro del Topolino riletto da Régis Loisel. Alla Disney italiana auguriamo la saggezza di saper mettere in evidenza la qualità del segno grafico dei migliori disegnatori Disney attuali e passati della scuola italiana, inserendo Casty tra gli autori di prua, magari con collane di lusso e altre popolari, anche in bianco e nero, come faceva la Mondadori negli anni settanta con Il Topolino d’oro, mettendo in avanti, grazie al bianco e nero, il tratto disincarnato ma puro, etereo e sensuale, pieno di vita e dal sorprendente senso dello spazio di Gottfredson.

Saper mettere in avanti il segno grafico di questi disegnatori, cercando di smorzare anche nelle versioni colorate i colori saturi imperanti che omologano il disegno sfumandone la potenza, porterà, gradualmente, a un ritorno sia di prestigio sia economico.

Frank Miller autografa i suoi libri al festival, il 28 ottobre 2016.

Appare estremamente autentico e disincarnato, mobile e pieno di urgenza sensuale nella comunicazione, il tratto di Zerocalcare nell’ampia esposizione a lui dedicata – Rebibbia calling – dove è possibile ripercorrere l’itinerario dell’autore romano nella “sua” Rebibbia. Zerocalcare ha trasformato la nevrosi generazionale in tenerezza umanistica.

Un itinerario che ha fatto della forza del tratto semplice in bianco e nero un manifesto, quasi una festa, rivendicando indirettamente l’autenticità di tanto fumetto popolare delle origini nell’era del trionfo dell’estetica ipercolorata e levigata e dimostrando che il pubblico forse non per forza ne è alla ricerca, e, considerate le vendite di Zerocalcare, ne è anzi un po’ saturo.

Storie in bianco e nero
È un bianco e nero spoglio ed essenziale, con tavole spesso di vera forza poetica e concettuale, quello del giapponese Kazuo Kamimura. Scomparso nel 1986 a soli 46 anni, fu autore di innumerevoli manga, tra cui il celebre Lady Snowblood, il cui adattamento cinematografico ha ispirato Quentin Tarantino, e dello splendido Storia di una geisha (ora in libreria per le edizioni J-pop). Il suo lavoro, come recita la nota di presentazione dell’esposizione, costituisce “una galleria infinita di personaggi femminili, donne a volte dolci e amabili, ma spesso anche tristi, lussuriose e vendicative”.

Un bianco e nero che ci guadagna senza il colore, soprattutto al computer, è quello dello statunitense Frank Cho, sensuale ed elegantemente asettico, autore della strip Liberty meadows, un mondo di pin-up e animali antropomorfi. Un autore da scoprire maggiormente. Da approfondire assolutamente, anche se con qualche riserva, sono i lavori coloratissimi dello spagnolo Joan Cornellà.

La riserva deriva dal fatto che il belga Brecht Vandenbroucke, tra i maggiori autori di oggi, inedito in Italia (ma autore di un paio di cartoline per Internazionale nello spazio di Graphic Journalism), ha uno stile analogo ma più forte e più folle. L’esposizione dedicata a Cornellà, pubblicato in Italia dalle edizioni Eris, ha permesso comunque di scoprire il suo surrealismo pantomimico, tutt’altro che privo d’interesse.

Questa era però l’unica mostra dedicata al fumetto d’autore in senso stretto. Ed è davvero troppo poco per un festival di questa importanza. Un ampliamento degli spazi espositivi per dare maggior evidenza alla storia del fumetto d’autore e alle tendenze più avanzate del graphic novel, magari mettendole in relazione quando possibile con il fumetto popolare, sarebbe auspicabile. E magari realizzare dei video sulle singole esposizioni.

Servirebbero incontri con gli editori e gli autori che non siano solo presentazioni delle iniziative editoriali, di cui a Lucca c’è l’overdose

Infine gli incontri. Un rafforzamento degli incontri e dei dibattiti a Lucca, forse anche quantitativo, e soprattutto una maggiore preparazione precedente al dibattito con gli ospiti sui temi dibattuti, ci pare necessario, magari spingendoli a concettualizzare un minimo il loro lavoro: potrebbero essere loro stessi stupiti da come il pubblico può essere catturato quando l’autore rivela qualcosa di non evidente o scontato sul senso del suo lavoro.

Le iniziative di Bonelli
Non c’è alcuna ragione che un autore simpatico e umile come Casty, refrattario all’autoglorificazione, debba essere considerato meno da media e pubblico di un qualsiasi regista di un insulso blockbuster asettico e senz’anima. Così come ci sembra che servirebbero incontri con gli editori e gli autori che non siano solo presentazioni delle iniziative editoriali, di cui a Lucca c’è l’overdose. E di overdose si muore.

Tra queste, siamo andati a quella della nave ammiraglia del fumetto italiano: la Bonelli editore. E siamo rimasti impressionati sia dalla quantità di nuove iniziative, in più di un caso interessanti, per le edicole e ora anche per le librerie, sia dall’idea di cover variant (cioè copertine speciali limitate a situazioni o eventi speciali come Lucca Comics) inattese come quella di Zerocalcare per Dylan Dog o quella bellissima, un po’ concettuale ma molto suggestiva (e ci chiediamo come mai nessuno ci abbia pensato prima), per il nuovo episodio di Tex. Il segno di Yama firmato per i testi da Boselli con i disegni di Civitelli (ora in edicola e che consigliamo, anche se con copertina classica), maestro della suggestione delle atmosfere per mezzo del segno.

Cosplayer a Lucca, il 28 ottobre 2016.

La nuova miniserie di dodici episodi di Martin Mystère (il detective dell’impossibile creato nel 1982 da Alfredo Castelli con la complicità grafica di Giancarlo Alessandrini) ha i colori con estetica da computer per disegni non molto personali e asettici che danno l’impressione di un lavoro quasi diseducativo sul visivo (e sulla sua profondità magari in un’apparente semplicità) spingendoci a chiederci perché nell’era della moda del vintage non si sia lavorato, per il rilancio della serie, piuttosto su Martin Mystère in quanto personaggio emblema del vintage in Bonelli.

Siamo ben più incuriositi da Monolith, film ma soprattutto fumetto a colori artistici e sperimentale, malgrado l’estetica da computer, di Roberto Recchioni, LRNZ e Uzzeo, e dalla colorazione dell’altra grande serie vintage e retrò della Bonelli, questa volta riuscita: la Julia di Giancarlo Berardi, oggetto di un bel volumone cartonato dai colori caldi destinato alle librerie. Un titolo dai colori e dalle ambientazioni rétro come Julia è perfetto, mentre si ripensa alle splendide e calde giornate autunnali con tanti ragazzi festosamente assiepati lungo le mura della città.

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