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Il violino di Andrew Bird arriva a Ferrara sotto le stelle

Andrew Bird.

Definire lo stile di Andrew Bird non è semplice. La prima parola che viene in mente è cantautore, ma non basta a definire l’ampio spettro musicale coperto dalle sue canzoni. Dentro ci troviamo tanti generi: folk, jazz, gypsy e rock, per citare quelli più evidenti. Grande violinista e improvvisatore, dopo aver studiato per anni musica classica negli ultimi anni Andrew Bird ha sviluppato una sensibilità pop sempre più spiccata e imprevedibile.

Domani sera il musicista di Chicago suonerà a Ferrara, in occasione del festival Ferrara sotto le stelle. L’abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare che concerto ha preparato e i suoi prossimi progetti, tra i quali c’è un nuovo album, in uscita la prossima primavera.

Il tuo progetto più recente, l’album strumentale Echolocations: canyon, è molto interessante perché mescola musica classica, ambient e arte contemporanea. Com’è nato?
Stavo lavorando a un’installazione per il museo di Boston. Per scrivere e registrare la musica, ho deciso di andare nel canyon Coyote gulch dello Utah. Sono partito senza un progetto preciso e ho cercato di ascoltare quello che il paesaggio aveva da dire. Quando ti addentri nel canyon, riesci a vedere il cielo solo in parte. Ho pensato: “Se fossi cieco, come userei la musica per descrivere un paesaggio?”. Ne è uscita fuori una specie di mappa sonora di quel luogo.


Il disco è solo la prima parte di un progetto più ampio. Quali altri posti hai visitato?
Finora ho fatto due tappe, oltre allo Utah: il fiume Los Angeles, dove ho suonato letteralmente con i piedi immersi nell’acqua, e la contea di Marin, a nord di San Francisco. Nelle prossime settimane registrerò al Bairro Alto, il vecchio quartiere di Lisbona. L’ultima tappa che ho in programma è al parco nazionale di Sequoia, sempre in California.

Per il concerto di Ferrara come vi siete preparati? Dobbiamo aspettarci molta improvvisazione?
Ho nuovo gruppo, un trio, con un batterista che viene dal jazz ed è fenomenale. La scaletta copre quasi tutti i miei dischi e farò ascoltare anche canzoni del nuovo album, che ho finito il mese scorso. Sì, improvviseremo un po’, come al solito.

Com’è il nuovo disco?
Negli ultimi due album c’erano molte parti strumentali. Questo invece si avvicina di nuovo alle atmosfere di Noble beast e Armchair apocrypha. È un album di canzoni più standard. L’ho registrato negli studi Sound city di Los Angeles, dove hanno registrato, tra gli altri, Fleetwood Mac e Nirvana. Abbiamo in tutto 16 brani, è un disco di tutto rispetto.


Ha già un titolo? Quando uscirà?
Per ora si intitola Are you serious?, ma potrei cambiare idea. Sarà pubblicato all’inizio della primavera, penso.

Qual è il tuo approccio ai tour europei? Hai dichiarato che li trovi più “caotici” rispetto a quelli negli Stati Uniti.
In termini di logistica e di idiosincrasia verso alcune situazioni è più faticoso. Richiede più flessibilità, ma per me non è un problema. Mi piace cambiare la mia scaletta ogni giorno in base al posto in cui suono e adattare la mia musica in funzione del paesaggio che mi circonda. E penso che ogni musicista dovrebbe farlo il più possibile.

Che rapporto hai con il pubblico europeo e in particolare con quello italiano?
È diverso. Nell’Europa del sud c’è un pubblico molto passionale e aperto. Sto molto bene sul palco. Quando vengo dalle vostre parti sono meno teso rispetto a quando suono a New York, Londra o Los Angeles. Ho fatto alcuni degli show più belli della mia carriera in Spagna e in Italia.

Recentemente hai aderito alla campagna Wear orange contro la diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti, nata dopo la morte dell’adolescente Hadiya Pendleton. Perché l’hai fatto?
Trovo che sia giusto combattere questa cultura da guerrieri che si è diffusa nel mio paese. Gli Stati Uniti a volte pensano di essere diventati una moderna Sparta, non ci rendiamo conto che respiriamo violenza tutti i giorni. Non ha più senso.


Torniamo alla musica. Perché hai scelto il violino come il tuo strumento principale?
Ho cominciato a quattro anni, per caso. Ho cominciato a studiarlo e non me ne sono più staccato. Durante l’adolescenza mi ha salvato la vita, impedendomi di perdermi nei miei turbamenti. Ma non mi ritengo un violinista, sono un cantautore che per caso suona il violino.

Come hai cercato di far coesistere la tua formazione musicale giovanile, che è soprattutto classica, con quella attuale?
Ho studiato la musica classica come se fosse folk, imparando tutto a orecchio. Non amo troppo gli spartiti e in generale non mi sento a mio agio con la disciplina che è richiesta a un musicista classico. Non sarei mai sopravvissuto in quel mondo. Ci sono ancora degli sprazzi di Beethoven e Bach che vengono fuori dalla mia musica, ma ho anche metabolizzato il jazz di Lester Young e John Coltrane. Suono il mio violino come se fosse un corno.


Hai una relazione particolare con le cover. Ad aprile hai pubblicato la tua versione di The fake headlines dei New Pornographers per la compilation Good people rock. L’anno scorso hai pubblicato Things are really great here, sort of…, una raccolta di cover degli Handsome Family. Perché?
Mi piace l’idea di prendere in mano del materiale che la gente si è lasciata sfuggire. Non a tutti piacciono gli Handsome Family, per esempio. Sono ancora un gruppo di nicchia. Per me è stato interessante risuonare le loro canzoni, che sono bellissime. Ho pensato, con un po’ di presunzione, che le avrei fatte conoscere a un nuovo pubblico.

Forse è un po’ come con le vecchie canzoni folk. Ci sono brani che sono lì da tantissimi anni, come House of the rising sun o John Henry, eppure i musicisti continuano a suonarli e a renderli attuali.
Certo, le belle canzoni hanno un valore curativo. Quando mi sento vuoto e senza energia, suono le canzoni degli Handsome Family o di altri artisti che mi piacciono. Ed è come se mi nutrissero, dandomi forza per continuare.

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