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I ritmi indiani di Jonny Greenwood e le altre canzoni per il weekend

Shye Ben Tzur, Jonny Greenwood and The Rajasthan Express, Hu
Junun, disco registrato in India dal chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood insieme al compositore israeliano Shye Ben Tzur e al gruppo locale The Rajasthan Express, è una bella sorpresa. È essenzialmente un album di musica etnica, composto principalmente da Shye Ben Tzur, che esalta la bravura dei musicisti indiani. Greenwood non è al centro della scena. Ma la sua chitarra ogni tanto viene fuori, ad arricchire e aggiungere modernità alla musica dei Rajastan Express. Uscito in sordina quasi alla fine del 2015, Junun rischia di diventare uno degli album migliori dell’anno. Il video che accompagna questo brano, Hu, in realtà è una scena tagliata dal documentario sulle registrazioni del disco, girato da Paul Thomas Anderson.


Ty Segall, Fist heart mighty dawn dart
Lo statunitense Ty Segall pubblica nuova musica di continuo ed è difficile stargli dietro, anche perché spesso si affida a metodi di distribuzione originali. L’ultimo album, Emotional mugger, è stato pubblicato su una videocassetta. Come se il materiale non bastasse, il 27 novembre la casa discografica Goner records ha fatto uscire una raccolta intitolata Ty Rex, che mette insieme le varie cover dei T-Rex (lo storico gruppo glam guidato da Marc Bolan) registrate da Ty Segall in questi anni. Vale la pena procurarselo. Alcune versioni, come l’iniziale Fist heart mighty dawn dart, sono così belle che reggono quasi il confronto con i pezzi originali. Qui sotto c’è tutto il disco in streaming.

Adriano Viterbini e Verdena, Bring it on home to me
In occasione del loro concerto al Dual Beat di Napoli, i Verdena hanno ospitato sul palco Adriano Viterbini, l’altra metà dei Bud Spencer Blues Explosion. Insieme hanno suonato questa cover di Sam Cooke, già inclusa nel recente disco solista di Viterbini, Film O sound.


Fat White Family, Whitest boy on the beach
I Fat White Family fanno della sgradevolezza e del politicamente scorretto un marchio di fabbrica. Chiaramente non si lavano molto, bevono e non disdegnano le droghe. La loro musica grottesca sembra la versione indie rock dei Cramps e dei Birthday Party, la prima band di Nick Cave. Il loro primo album si intitolava simpaticamente Champagne Holocaust e ospitava canzoni come Who shot Lee Oswald? e Bomb Disneyland. Il secondo disco si intitola Songs for our mothers ed è stato anticipato dal singolo Whitest boy on the beach, una specie di surreale brano dance.

M.I.A., Borders
Negli ultimi mesi l’artista britannica di origini srilanchesi M.I.A. ha pubblicato con una certa regolarità dei nuovi singoli. Tra questi c’è Borders, una canzone di protesta che parla di immigrazione, diritti omosessuali e violenza della polizia. Più che il testo, un po’ ingenuotto, è l’arrangiamento a funzionare. Il brano farà parte del prossimo disco di M.I.A., intitolato Matahdatah, ancora senza data d’uscita.

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