Monito
Martin Baron è venuto a Ferrara nel 2014. Tutti trasalivano quando si presentava, con aria timida e gentile: “Buongiorno, sono Martin Baron, direttore del Washington Post”. Chissà perché, dal direttore del Washington Post ci si aspetta che sia un po’ altezzoso.
Partecipò a un dibattito sul futuro dell’informazione. In realtà avremmo dovuto chiedergli di raccontare la grande inchiesta del Boston Globe – di cui è stato direttore tra il 2001 e il 2012 – che portò alle prime rivelazioni sui preti pedofili negli Stati Uniti e fece luce sulla copertura sistematica delle gerarchie ecclesiastiche, forse non solo statunitensi (l’arcivescovo di Boston, Bernard Francis Law, fu rimosso e spostato a Roma, dove tra il 2004 e il 2011 venne assegnato alla basilica di Santa Maria Maggiore).
Martin Baron – o meglio Liev Schreiber, l’attore che lo interpreta – è il protagonista di Il caso Spotlight, nelle sale italiane dal 18 febbraio. Spotlight è il nome della sezione investigativa del Boston Globe e Baron era appena arrivato alla direzione del giornale quando, nel 2001, diede impulso all’inchiesta sui preti. Alla fine ne furono denunciati 249 solo a Boston e si calcolò che almeno mille bambini avessero subìto abusi sessuali. Il caso Spotlight è anche un film che espone gli errori e i limiti del giornalismo. Per esempio l’incapacità di leggere per tempo i segnali più evidenti.
I reporter del Boston Globe avevano ricevuto molte segnalazioni negli anni precedenti, ma avevano sottovalutato la portata dei fatti, non erano stati capaci di interpretarli, di dargli il giusto rilievo.
E le due domande di uno degli avvocati difensori dei preti, rivolte al giornalista che lo incalza, dovrebbero servire da monito a chiunque lavori in una redazione: “È vero, tutti sapevamo che stava succedendo qualcosa. Ma voi dov’eravate? Perché ci avete messo così tanto?”.
Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2016 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Monito”. Compra questo numero | Abbonati