×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Evoluzione senza lieto fine

Henry Gee, La specie imprevista. Fraintendimenti sull’evoluzione umana
Il Mulino, 294 pagine, 20 euro

Oggi in molte scienze sociali l’aggettivo “evoluzionista” è un insulto. Quando si vuole dire che uno storico distorce la propria interpretazione perché sa già come le cose sono andate a finire o che un sociologo interpreta i dati alla luce dell’esito di un certo processo, si dice che le loro ricerche sono troppo “evoluzioniste”. Eppure lo studio dell’evoluzione umana, così come è stato messo a punto dalle teorie di studiosi come Stephen Jay Gould, è quanto di più lontano da una storia finalistica, ricostruita a posteriori a partire dalla fine.

Lo spiega bene Henry Gee in questo libro: la ricerca ha dimostrato che il processo che ha prodotto l’Homo sapiens era solo uno dei molti processi possibili e che tale processo è stato dovuto in grande misura al caso. Questo vuol dire che non esiste nessun anello mancante tra la scimmia e l’uomo, perché l’evoluzione non è una catena di fasi sempre più perfezionate, ma un albero, anzi un cespuglio, in cui i rami (le diverse specie), diversificandosi, proseguono a lungo in parallelo.

Oltre a essere più verosimile, un’evoluzione definita in questo modo e che tiene conto di ciò che rimane indietro oltre che di quello che si acquisisce, fornisce un modello mentale assai più complesso e utile per capire come le cose effettivamente cambiano nel corso del tempo.

Questa rubrica è stata pubblicata il 24 giugno 2016 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

pubblicità