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Bruciare tutto racconta il regno dell’ambiguità morale

Walter Siti, Bruciare tutto
Rizzoli, 370 pagine, 20 euro

Non si può essere oggi grandi scrittori se non si è anche forti intellettuali, che si sforzano di capire, di “leggere” (e solo dopo di scrivere) il mondo in cui viviamo, il suo caos e le sue atrocità, all’altezza della sua tragedia. Gli scrittori di questo tipo in Italia sono due o tre, e Siti è uno di loro.

Ambienta il suo romanzo nella Milano del 2015, ne fa protagonista un prete e contesto privilegiato un mondo cattolico che, dopo il vomitevole suicidio della sinistra, è l’unico che continua ad agitarsi, ma è zeppo di contraddizioni. Se nessun personaggio vi diventa grande, è perché in questa società non sembra più possibile sollevarsi dall’ambiguità morale che pervade tutto e tutto scolora, unifica, merdifica. Il suo è un Fratelli d’Italia di mezzo secolo dopo, dove la vitalità si è fatta ignavia e parodia. Attraverso il prete Leo, mediocre che sa di esserlo e che ha poco dell’autore, entriamo nel cuore di una società dove, come si dice citando Yeats, “i migliori sono privi di ogni convinzione, mentre i peggiori / sono pieni di appassionata intensità”, e dove ritrovare la “persuasione” è fatica, messa in discussione radicale del proprio posto nel mondo.

La folla di mediocri che costella il romanzo (faticoso per il suo sforzo mimetico) spinge il nuovo arrivato, il bambino, e spinge altresì l’adulto, il sacerdote, verso l’abisso della negazione, di sé e del mondo. E non si vede via d’uscita, possibile reazione, chiaro cammino.

Questa rubrica è stata pubblicata il 5 maggio 2017 a pagina 92 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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