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Waterloo insegna che il potere non mantiene le promesse

Il 18 giugno è il duecentesimo anniversario della battaglia di Waterloo, e inevitabilmente qualcuno dirà che quel giorno del 1815 ha “cambiato la storia”. In effetti fu una battaglia gigantesca, e sarebbe passato un secolo prima che l’Europa assistesse nuovamente a un conflitto di tali dimensioni. Ma quegli eventi hanno davvero “cambiato la storia”? Probabilmente no.

La battaglia decisiva era stata combattuta un anno e mezzo prima vicino a Lipsia, in Germania: la “battaglia delle nazioni”, in cui fu coinvolto un numero di persone tre volte superiore rispetto a Waterloo. Ci vollero molte altre battaglie prima che gli eserciti di Russia, Austria e Prussia entrassero a Parigi e che Napoleone abdicasse infine al trono di imperatore dei francesi nella primavera del 1814, ma la Francia non ne vinse più neanche una.

A Napoleone fu assegnato il minuscolo regno dell’isola d’Elba per tenerlo occupato, e i vincitori cominciarono a rimettere insieme l’Europa dopo vent’anni di guerra quasi ininterrotta, circa tre milioni di morti tra i soldati e altrettanti tra i civili. Ma dopo appena dieci mesi Napoleone fuggì dall’Elba e tornò in Francia per fare un nuovo tentativo.

I cento giorni

Ma per lui ormai era finita. I britannici (i finanziatori della coalizione), gli austriaci, i prussiani e i russi erano ancora tutti in assetto di guerra e i loro eserciti cominciarono a stringersi intorno alla Francia. Nel corso dei famosi “cento giorni”, Napoleone riuscì a reclutare nel suo nuovo esercito molti uomini che avevano combattuto per lui nelle guerre passate, ma si trattava di pura nostalgia.

Si mosse velocemente, sperando di sconfiggere l’esercito britannico nell’attuale Belgio prima che gli altri alleati arrivassero a portare rinforzi, e per poco non ci riuscì. Il generale britannico, il duca di Wellington, disse che la battaglia di Waterloo fu “lo scontro più equilibrato che si sia mai visto”. Alla fine, nel tardo pomeriggio, l’esercito prussiano arrivò e cambiò il corso della battaglia. Ma se Napoleone non avesse perso a Waterloo, sarebbe stato sconfitto poco dopo.

Waterloo ha solo confermato ciò che chiunque poteva già constatare: la Francia aveva smesso di essere la superpotenza europea

“Dio è dalla parte dei battaglioni più pesanti”, aveva detto Voltaire, e Napoleone si limitò a cambiare i battaglioni con “le migliori artiglierie” per dimostrare che la sua preparazione militare era aggiornata. Quello che gli mancava era la preparazione politica: in realtà Dio è dalla parte delle economie più forti, specialmente quando sanno come trasformare la loro ricchezza in potere militare.

Il Regno Unito aveva già superato la Francia come principale economia d’Europa (il che, all’epoca, significava la principale economia del mondo). La rivoluzione industriale britannica era già nella sua seconda fase, mentre la Francia era appena entrata nella prima. Anche in termini semplicemente anagrafici, un basso tasso di natalità faceva sì che la popolazione francese sarebbe stata superata da quella russa, poi da quella tedesca e, infine, da quella britannica.

Questo significa che se anche Napoleone fosse riuscito a vincere delle battaglie, non avrebbe potuto vincere la guerra. E alla fine non ha vinto neanche le battaglie. Era a corto di soldati e i suoi nemici avevano trascorso un’intera generazione in guerra, imparando (a un costo molto alto) a combattere bene quanto lui. Waterloo ha solo confermato ciò che chiunque poteva già constatare: la Francia aveva smesso di essere la superpotenza europea.

In seguito il Regno Unito è rimasto al vertice per un secolo (e dopo cinquecento anni di guerre anglofrancesi non ha mai più dovuto combattere la Francia), mentre da ormai 75 anni gli Stati Uniti sono la superpotenza in carica. Probabilmente vi aspetterete che stia per lanciarmi in previsioni su quale sarà il prossimo paese a ottenere la corona. Vi sbagliate due volte.

Gli Stati Uniti hanno perso praticamente ogni guerra che hanno combattuto negli ultimi cinquant’anni

Prima di tutto, è una corona di spine, che nessuna persona dotata di buon senso potrebbe desiderare. La statistica importante (che si nasconde in piena vista) è che più un paese diventa potente, più si trova a combattere guerre e a subire perdite. Più potere non significa più sicurezza, ma solo più problemi.

In secondo luogo, molto spesso non esiste un unico leader incontrastato. È stato così nel diciassettesimo secolo, quando la Spagna era in chiaro declino ma la Francia non era ancora in grado di raccogliere il testimone di unica superpotenza. Lo stesso è accaduto tra 1945 e 1990, quando le armi nucleari (il grande fattore di equilibrio) facevano sì che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica fossero superpotenze di uguale grandezza, nonostante l’economia americana fosse di gran lunga superiore a quella sovietica.

E oggi, con il presunto declino della superpotenza americana, si fanno ossessivamente ipotesi sul momento in cui la Cina si farà avanti e prenderà il suo posto. Oppure potrebbe toccare all’India? Come se fossimo ancora agli inizi del diciannovesimo secolo, quando la Francia era in declino e il Regno Unito la stava sostituendo. Ma non è così.

Il potere militare non mantiene più le promesse. Gli Stati Uniti hanno perso praticamente ogni guerra che hanno combattuto negli ultimi cinquant’anni (a eccezione di Grenada e Panamá), nonostante siano responsabili di circa metà della spesa militare di tutto il pianeta. Nell’attuale contesto strategico globale, le vittorie decisive sono rare come gli unicorni.

Questo non è necessariamente un male. Anzi, è probabilmente un bene. Il concetto di vittoria è molto sopravvalutato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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