×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

L’effetto domino della crisi cinese arriverà fino a noi

A Tokyo, il 26 agosto 2015. (Yoshikazu Tsuno, Afp)

Avete presente come funziona con gli autobus? Ne aspetti uno per un sacco di tempo, molto più di quanto sarebbe logico, e poi ne arrivano tre tutti insieme. Le crisi finanziarie funzionano un po’ allo stesso modo.

La crisi finanziaria che tutti gli addetti ai lavori stavano davvero aspettando è il “brusco atterraggio” dell’economia cinese, ormai uno dei due motori dell’economia globale (l’altro sono ancora gli Stati Uniti). Che il suo arrivo fosse inevitabile, prima o poi, lo pensavano tutti, o perlomeno tutti quelli che non avevano investito in maniera massiccia sul mercato cinese. Adesso sembra che il momento sia arrivato, nonostante il governo cinese si ostini a negarlo.

La seconda crisi, meno prevedibile, è una stretta creditizia che sta minacciando la crescita economica di quasi tutti i paesi in via di sviluppo, esclusa l’India. In molti casi le valute nazionali hanno raggiunto i minimi storici nei confronti del dollaro, rendendo più difficile ripagare i dollari che questi paesi avevano preso a prestito. Inoltre diventa più difficile per essi guadagnare dollari con le esportazioni, perché i prezzi delle materie prime sono crollati.

Una terza crisi, inoltre, minaccia le economie sviluppate di Europa, Nordamerica e Giappone, che non si sono ancora riprese dagli effetti del crollo del 2007-2008. Ed è difficile uscire da una nuova recessione quando i tuoi tassi d’interesse sono ancora quasi a zero a causa della crisi precedente.

Il governo cinese è terrorizzato dalla disoccupazione di massa

Queste crisi stanno arrivando nello stesso momento perché sono tutte collegate. Quando i gravi misfatti ed errori delle banche europee e statunitensi hanno provocato la grande recessione del 2008, la Cina ha evitato la stagnazione e la disoccupazione che hanno colpito i paesi occidentali inondando la sua economia di credito a buon mercato. Ma così facendo ha solo ritardato il problema e, tra il 2007 e il 2014, il debito totale della Cina è aumentato di quattro volte.

Il governo cinese è terrorizzato soprattutto dalla disoccupazione di massa. Crede, probabilmente a ragione, che la sopravvivenza del regime comunista dipenda dalla capacità di garantire livelli di vita sempre più elevati. Per questo motivo l’economia cinese ha continuato il suo boom per altri sei anni, ma la “soluzione” era artificiale e ora non funziona più.

L’enorme quantità di credito a basso costo riversato sull’economia cinese è stata impiegata soprattutto nella costruzione di infrastrutture inutili, in particolare nel settore edilizio. Ciò ha permesso di proteggere i posti di lavoro, ma il valore delle proprietà è cresciuto generando un’enorme “bolla immobiliare”. Non c’era nessuno disposto a comprare tutte quelle case e appartamenti e oggi in tutta la Cina esistono “città fantasma” nuove di zecca, il che ha provocato il rapido calo del valore degli immobili.

La borsa di Wall street, New York, il 24 agosto 2015.

Fin da quando è cominciato, il mese scorso, il governo cinese ha fatto di tutto per arrestare il crollo delle borse. Ha abbassato più volte i tassi d’interesse, ha svalutato la moneta e ha ordinato alle istituzioni statali d’investire di più. Ma non è servito a niente.

Le esportazioni cinesi sono calate dell’otto per cento lo scorso anno, e il governo ammette che l’economia sta crescendo al ritmo più lento degli ultimi tre decenni. Nessuno al di fuori del Partito comunista lo sa con certezza, ma è possibile che l’economia stia a mala pena crescendo. Il “brusco atterraggio” è ormai quasi inevitabile.

Veniamo ora alla seconda crisi. Quando il boom artificiale della Cina era ancora in corso, il suo appetito per le materie prime di qualsiasi tipo era insaziabile, e per questo il loro prezzo è salito. Gli altri paesi emergenti sono cresciuti rapidamente vendendo alla Cina le materie prime di cui aveva bisogno, attraendo massicci investimenti dell’occidente grazie alla loro rapida crescita, e prendendo denaro a prestito con facilità, perché i tassi d’interesse occidentali erano ai minimi.

Il crollo della domanda cinese ha contribuito a porre fine a questa situazione. In Brasile, come in Turchia, Sudafrica e Indonesia, le esportazioni stanno crollando, il valore delle monete locali è in calo e gli investitori stranieri se ne stanno andando. La fuga di capitale nelle 19 principali economie di mercato emergenti ha raggiunto quasi mille miliardi di dollari negli ultimi tredici mesi, e sta ancora accelerando.

La prossima recessione sta comunque per arrivare

Quanto alla terza crisi, in occidente, i problemi che hanno provocato il crollo del 2007-2008 non sono mai stati risolti, ma solo tamponati. La crescita molto contenuta delle economie occidentali è dovuta quasi interamente ai tassi d’interesse assurdamente bassi e all’“alleggerimento quantitativo”, cioè all’emissione di nuova moneta.

L’intervallo medio tra una recessione e l’altra nel mondo occidentale è compreso tra i sette e i dieci anni. La prossima recessione, quindi, sta comunque per arrivare. L’elemento che più probabilmente la scatenerà è il crollo della domanda in Cina e nelle altre economie emergenti, che è ormai praticamente certo. E quando le sue conseguenze colpiranno l’occidente, nessuno degli strumenti tradizionali per uscire da una recessione sarà disponibile. I tassi d’interesse sono già vicini allo zero e la disponibilità monetaria è già stata ampiamente accresciuta.

Sarebbe avventato parlare di una nuova depressione globale di lunga durata, simile a quella degli anni trenta. Molte cose sono cambiate da allora. Ma è certamente ragionevole affermare che per l’economia globale si annuncia una tempesta perfetta.

(Traduzione di Federico Ferrone)

pubblicità